Avezzano. Aveva un contratto rinnovato anno per anno da una vita. Il Miur è stato così condannato dal tribunale di Avezzano per il caso di un bidello marsicano. L’uomo, un volta messo in pensione dal ministero, è stato riassunto in modo da poter conseguire l’anzianità contributiva minima.
La sentenza arriva dal giudice del lavoro Antonio Stanislao Fiduccia, da alcuni mesi in forze al Tribunale di Avezzano che ha anche disposto un congruo risarcimento in favore del collaboratore scolastico (personale Ata) marsicano, oggi in pensione. Una sentenza che accoglie tutte le richieste degli avvocati della Uil scuola, Salvatore Braghini e Renzo Lancia.
Il lavoratore aveva svolto per 13 anni mansioni di bidello in diverse scuole marsicane senza venire mai assunto in ruolo, nonostante i suoi contratti venissero reiterati dall’amministrazione scolastica con nomine al 31 agosto dalla graduatoria permanente dei collaboratori scolastici. Giunto all’età di 66 anni e 3 mesi, come previsto dopo l’entrata in vigore della riforma Fornero, era stato cancellato dalla graduatoria provinciale per raggiunti limiti di età sebbene non avesse maturato i requisiti della pensione minima.
I legali hanno presentato ricorso contestando il diritto del lavoratore a rimanere in servizio fino al 70esimo anno di età. Benché precario, infatti, il dipendente non doveva essere discriminato rispetto al personale di ruolo riguardo alla possibilità di protrarre l’attività lavorativa. Così il Ministero è stato condannato a ripristinare la sua posizione nella Graduatoria a esaurimento della Provincia fino al compimento del 70esimo anno di età e quindi fino al conseguimento dell’anzianità contributiva minima di 15 anni.
Il giudice ha inoltre condannato il ministero, come richiesto dalla difesa, al risarcimento del danno, dovuto all’abusiva reiterazione dei contratti a termine, con il pagamento di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre agli interessi legali.
La decisione – afferma l’avvocato della UIL scuola Salvatore Braghini – è di quelle destinate a far discutere, in quanto recepisce in pieno i principi comunitari, disapplicando la normativa nazionale, allo scopo di rimuovere tutte quelle norme che di fatto determinano una discriminazione tra lavoratori di ruolo e precari, sancendo il diritto anche di quest’ultimi a conseguire una pensione minima e, se non una stabilizzazione del rapporto di lavoro, a vedersi comunque risarciti se il contratto a termine si protrae oltre i 36 mesi, con il riconoscimento anche a loro dei benefici retributivi previsti dai contratti nazionali per il personale di ruolo in ragione dell’anzianità di servizio maturata. Ciò in quanto la prestazione lavorativa è identica tra lavoratori a termine e di ruolo e non si giustifica affatto, in assenza di ragioni oggettive, un trattamento differenziato”.