Avezzano. Un traffico di stranieri con promessa di posti di lavoro in cambio di 5-7mila euro a testa. poi finivano a spacciare. Con questa accusa sono state condannate 18 persone a pene che vanno da sette anni e mezzo fino a tre anni e multe fino a oltre un milione di euro.
La sentenza è stata emessa dalla Corte d’assise dell’Aquila nei confronti di persone coinvolte a vario titolo in un’inchiesta riguardante il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nel Fucino. I reati contestati vanno dall’associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina fino alla truffa e al falso ideologico. In 12 gli assolti.
Condannati per uno o più capi d’imputazione Bouzecri Aaris, Abderraham Aaris, Driss Mothair, Mohamed Mothair (sette anni e sei mesi e un milione e 100mila euro), M’Hammed El Yousfi, Smail Kaddour, Mohammed Kaddour, Luigi D’Apice (sei anni e 10 mesi e un milione e 55mila euro), Rachid Errahmany e Boubker Errahmany (sei anni e 10 mesi e 200mila euro di multa), Giampiero Paris, Vincenzo Ciccarelli, Simone Ciccarelli (cinque anni e 11 mesi e 190mila euro di multa), Mbaker El Maharzi, Mohamed Brhaiberh, Hassan Brhaiberh (cinque anni e 4 mesi e 40mila euro), Enrico Di Pasquale (cinque anni e 30mila euro), Fabio Sorgi (tre anni e 4 mesi e 10mila euro). I marocchini figuravano principalmente tutti come braccianti o operai, uno come falegname, mentre gli italiani sono prevalentemente imprenditori agricoli, residenti tutti tra Celano e Avezzano.
Assolti invece Nicola D’Apice, Catella D’Apice, Federico Barbarossa, Giovanni Bianchi, Massimo Ciccarelli, Antonio Angelosante, Gabriella Angelosante, Mustafà Kannira, Haouari El Kannira, Said Oiraq, Khalid Sellum e Ossman Sellum.
L’operazione dei carabinieri del comando provinciale dell’Aquila e degli agenti della polizia di Avezzano, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, risale al 17 maggio del 2012 quando vennero eseguite 32 ordinanze di custodia cautelare (10 in carcere e 22 ai domiciliari) emesse dal gip Romano Gargarella.
La strategia consisteva nel promettere agli immigrati clandestini una vita migliore dopo l’ingresso in Italia, ma poi finivano a lavorare come braccianti agricoli nel Fucino con paghe da fame. Secondo l’accusa, i marocchini versavano all’organizzazione ingenti somme di denaro non solo a intermediari connazionali, ma anche a diversi imprenditori agricoli e i titolari di una società di intermediazione compiacenti. Secondo quanto accertato in due anni di indagini, in Marocco si reclutavano i presunti braccianti da inviare nel Fucino.
Pagavano dai 5 ai 7 mila euro con la promessa di un’occupazione. Un lavoro che molte volte restava solo una promessa. E gli immigrati, alla scadenza del visto, diventavano clandestini e spesso finivano a rubare o a spacciare droga. Nel collegio difensivo erano presenti gli avvocati Antonio Pascale, Antonio Milo, Roberto Verdecchia, Sandro Gallese e Mauro Ceci.