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Renaissance D’Annunzio, la riscoperta antifascista del poeta. Intervista allo storico Guerri

Raffaele Castiglione Morelli di Raffaele Castiglione Morelli
14 Maggio 2019
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Tagliacozzo. Uno storico  ricercatore d’eccellenza per la settimana del Turismo di Tagliacozzo, organizzata dall’Itet. Nella giornata di ieri, a visitare le strade della città è stato Giordano Bruno Guerri, presidente della Fondazione Vittoriale degli italiani ed esperto conoscitore del periodo fascista in Italia.

Lo storico è stato dapprima accolto nel palazzo comunale dove ha ricevutola classica riproduzione dell’Obelisco d’argento, in omaggio dall’amministrazione Giovagnorio. Nel primo pomeriggio,è stato allestito invece, un tavolo di discussione dove sono intervenuti anche la preside dell’Itet, Patrizia Marziale, il presidente del consiglio di Teramo, Alberto Melangelo e il maestro Paolo Totti. Sul palco, Guerri si è fatto portavoce di una nuova interpretazione della figura di Gabriele D’Annunzio e della sua Renaissance: “La leggenda del poeta fascista è falsa, è stata diffusa dal fascismo” afferma Guerri,”questa convinzione danneggia molto sia la sua figura come uomo e letterato sia il suo lascito, ossia il Vittoriale, per questo,e va fatta una correzione storiografica”, spiega l’autore, “ad esempio, il poeta fondò nel 1920 una Lega dei popoli oppressi, che rappresenta più di quanto antifascista si possa pensare. Inoltre, quando Mussolini arrivò in visita nella sua abitazione, egli lo chiamò addirittura Lestofante”, continua, “grazie a una legge voluta da lui, lasciò tutto alla Fondazione Vittoriale, stabilendo in un secondo momento che alla sua morte tutto sarebbe rimasto lì”. Tuttavia, prima dell’incontro al Talia, ho avuto modo di incontrare personalmente Guerri nel palazzo municipale e con l’occasione ho posto qualche domanda sul periodo storico passato, attuale e futuro dell’Italia.

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Presidente Guerri, per quale motivo, secondo lei, è ancora oggi necessario studiare il ventennio fascista? A lungo, il fascismo è stato messo sotto un tappeto. Dobbiamo aspettare Renzo De Felice negli anni settanta per avere una ricostruzione storica del periodo. Putroppo ancora oggi, paghiamo le conseguenze di questo sotterramento, come la si paga sempre per la mancanza di studio. Non abbiamo risolto dopo ottant’anni, quella che è stata la storia d’Italia durante il Fascismo. Certamente, si può affermare che è stato un periodo negativo, perché non si può privare un popolo della libertà per vent’anni, tuttavia, non è un periodo che si può rinnegare in blocco. Bisogna sapere cosa è successo, cosa è stato fatto e cosa è stato sbagliato.

Attraverso le sue ricerche, ci sono delle possibilità di ricostruire la storia del fascismo nella zona marsicana? Oltre gli storici locali, mentre compilavo il mio secondo libro, Rapporto al Duce, trovai dei documenti riguardo le relazioni di tutti i federali d’Italia, sui rumori della popolazione e c’è sicuramente qualche documento che riguarda anche il federale locale.

In relazione alla situazione attuale, lei che è stato anche giornalista, quanto è responsabile l’azione mediatica sui fenomeni pseudo-fascisti del tempo di oggi? La storia viene sempre usata per motivi politici. Ogni fazione prende quello che gli serve e lo utilizza per i propri scopi. Ovviamente è un modo sbagliato di usare la storia, ma così fanno anche i media: a seconda che appoggino una parte politica o l’altra, accreditano una tesi o l’altra. Si tratta di un uso strumentale della storia, che credo purtroppo sia inestirpabile. Del resto, ognuno nella propria famiglia ricorda il bene o il male, a seconda delle parentele. Avviene la stessa cosa con l’uso della storia.

C’è il pericolo che le generazioni più giovani sviluppino un sentimento di violenza dovuta a letture superficiali del fascismo? La violenza, innanzitutto, si sviluppa in un contesto sociale, familiare e anche scolastico. Certo, se uno cresce con il culto di Hitler, lo stimolo della violenza aumenta, ma la violenza non nasce dal fascismo o dal comunismo. Bisognerebbe leggere qualcosa e credo che difficilmente queste letture possano costituire un punto di partenza per la violenza. Sicuramente, in questo caso, la scuola (che purtroppo non sempre svolge il suo compito) dovrebbe aumentare le letture storiografiche dei fatti e delle azioni nel periodo del Ventennio per fari sì che gli studenti approfondiscano bene questa parentesi importante dell’Italia.

Una lettura politica dell’Italia attuale. Viviamo un momento di passaggio. L’Italia è stata definita più volte un laboratorio politico e lo è dall’inizio del Novecento. Da noi accadono cose strane, del resto il governo attuale è strano, sembra un esperimento di laboratorio, dove si ha l’impressione che la classica figura di uno scienziato mischi delle cose senza sapere cosa può accadere.

L’Europa. Rimane ad oggi il modello voluto dopo la caduta dei totalitarismi o è solo un’unione tecnica e superficiale? Fino a 15 anni fa non si poteva parlare male dell’Europa, chi la criticava era considerato sospetto. Ora tutto questo sta cambiando e ci sono molte critiche all’Europa, di cui alcune forti e motivate. Non si costruisce un progetto così imponente in pochi anni. A noi, sembra sia passato tantissimo tempo da quando nacque la Ceca, ma sono passati solo 60 anni. Per costruire un fenomeno così grande ci vuole tempo e, soprattutto, ci vuole la conoscenza dei popoli. Non è con un trattato che i popoli diventano amici; ancora oggi, un italiano non parla bene di un tedesco o viceversa. Ci vuole una conoscenza comune e la cosa migliore dell’Unione Europea di oggi è sicuramente il progetto Erasmus, grazie al quale, le future generazioni potranno ritrovare un’unità. Se non si scambiano rapporti, contatti o comunicazioni della propria lingua, non si arriva a una comunità.

Nazionalismo e cosmopolitismo. La battaglia intellettuale di oggi. Cosa ne pensa? Bisogna mantenere l’amor proprio per la propria storia, cultura e per la propria nazione, ma nel contempo aprirsi all’esterno. Certo, la cosiddetta globalizzazione è in evitabile, la velocità della comunicazione, la stessa tecnologia rendono impossibile, se non obbligatorio comunicare con tutto il mondo, per questo motivo è ancora più essenziale che ogni popolo mantenga una propria individualità. Prima di tutto, la difesa della propria lingua è fondamentale perché è la difesa della propria cultura. Così anche la difesa dei propri cibi, delle proprie feste delle proprie tradizioni. Sembra una risposta alla don Abbondio, ma bisogna cercare di essere internazionali mantenendo la propria nazionalità. @RaffaeleCastiglioneMorelli

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