Avezzano. Serata particolare quella del 23 marzo a Tagliacozzo. Non pioveva e non era particolarmente freddo. Anzi. Le persone erano sorridenti, felici, sembrava che avessero tutti un motivo per festeggiare qualcosa. Soprattutto un gruppo di circa venti persone, sedute al tavolo di un ristorante, che continuavano a ridere, ad abbracciarsi e a raccontarsi le storie di una vita. Quella degli ultimi vent’anni, più o meno. Eravamo più grandi, adulti, trasformati dalla vita, ma, in fondo, sempre gli stessi, con i ricordi ben impressi nella mente e le parole che uscivano dalla bocca e dal cuore, racconta Valeria, una di loro. Quei ragazzi ormai quarantenni si sono ritrovati da tempo, grazie a un gruppo “social”, attivo da qualche mese, costituito da uno di loro, che ha deciso che, forse, quello era il momento giusto per risentirsi. O magari, per ritrovarsi, un giorno. E quel giorno è arrivato. Veloce, bello e profondamente atteso. Così, le vecchie interrogazioni e le gite scolastiche si sono colorate di una tinta in più. I temi di letteratura italiana e le versioni di greco hanno assunto da una parte un sentore di carta sbiadita, ma dall’altra una valenza evocativa così profonda e nostalgica da provocare, in più occasioni, momenti di commozione. I professori, spesso tanto temuti, sono stati riportati alla loro condizione umana, tolti, finalmente, dalla cattedra e posti, almeno idealmente, accanto a loro. E gli abbracci… com’è possibile che alcuni abbracci siano così forti, avvolgenti, pieni?
Quei ragazzi, che oggi vivono sparsi per l’Italia, o meglio, per l’Europa, si sono fatti una promessa. Quella di rivedersi presto, magari quest’estate, coinvolgendo i pochi assenti, che sono stati comunque inclusi idealmente in questa cena sospesa nel tempo. Gli ex compagni di scuola sono andati via a notte fonda, in punta di piedi, silenziosi come il buio che stava avvolgendo le strade, i tetti, gli alberi: si era fatta l’ora di tornare a casa. Qualcuno aveva un lungo viaggio da affrontare, altri una famiglia da andare ad abbracciare, tutti, comunque, qualcosa da stringere a sé, un groppo in gola che ti sussurra che, “sì, sei diventato grande”. È vero, quei ragazzi sono diventati grandi, ma ancora tutti con il famoso fanciullino di pascoliana memoria dentro alle loro storie, ai sorrisi, ai pensieri di quella serata che stava pian piano portando via con sé qualcosa che profumava ancora di inchiostro, di merendine avvolte nella carta stagnola e di una libertà appena conosciuta. Alfonso, Antonello, Carmine, Chiara, Daniela D., Daniela P., Daniela S., Dario, Giuseppe, Guido, Luca, Luciana, Lucio, Luigia, Manuela, Maria Laura, Mirko, Paola, Raffaele, Ramona, Regina, Remo, Rocco, Valeria, Veneranda e Virginia lo sanno benissimo. Quei ragazzi eravamo noi, siamo ancora noi. Il tempo, in fondo, non è solo una convenzione? Ciao terza C, ci sentiamo più tardi, come sempre, ormai.