Tagliacozzo. Ieri, in una sala consiliare gremita, il professor Giorgio Giannini ha illustrato la sua relazione sulle possibili soluzioni idriche del Fucino e per il miglioramento del clima. Tanti speravano di ascoltare una soluzione che permettesse il ritorno del lago, ipotesi romantica condivisa da molti in sala, una soluzione che Giannini ha prontamente etichettato come irrealizzabile. Poter riavere almeno una parte di lago, però, potrebbe portare un clima migliore nell’alveo fucense e questo significherebbe il ritorno di colture come viti, ulivi ed alberi da frutto, ma anche altri settori come turismo e pesca. Giannini, ha illustrato come fino al 1865 circa, prima che il progetto del principe Torlonia prosciugasse il lago, le condizioni climatiche non fossero così estremi come al giorno d’oggi e non soltanto nell’area marsicana, ma anche nelle località fuori da questo perimetro. Certo c’è da aggiungere che non tutti i periodi furono come al giorno d’oggi : il clima attuale, che è in costante mutamento verso condizioni più calde, come appunto notiamo, ad esempio nel medioevo trovava un riscontro ancora diverso perché più caldo ancora ( anche se si raccontano situazioni di attraversamenti del lago per via del ghiaccio in quegli inverni), seguì poi invece dal 1450 circa e per 400 anni la piccola era glaciale (PEG), in cui di sicuro il lago trovò probabilmente un innalzamento in qualche caso, come nel 1816, in cui raggiunse il livello più elevato a quanto pare di 23 metri. Da notare che l’anno citato, fu quello famoso senza estate, causa l’eruzione spaventosa del vulcano Tambora in Indonesia, che lasciò le sue polveri e ceneri per parecchio tempo nei cieli dell’emisfero nord, dando luogo ad incessanti fenomeni e a carattere freddo, anche da noi quindi, tant’è che fu ribattezzato milleottocento morto di freddo. Probabilmente, gli abitanti di allora ebbero paura di un costante aumento delle acque, che avrebbe potuto sommergere anche delle abitazioni…chissà, gli interrogativi rimangono, ma come rimane anche il fatto della bonifica in cui emersero dei terreni fertili per la coltivazione soprattutto degli ortaggi e tuberi, situazione attuale del Fucino oltre a qualche industria e il complesso di Telespazio, situato proprio nei pressi del bacinetto che si vorrebbe riallagare. Molto interessante è stato anche il dibattito che si è aperto dopo l’esposizione del professore sulle criticità del Fucino. Molti gli interventi a cominciare da quello dell’avvocato Renato Simone, che ha posto l’accento sui danni causati dal prosciugamento e sullo sfruttamento attuato dal Principe Torlonia. Subito dopo interessante anche l’intervento di Francesco Sciarretta, ex presidente del consorzio di bonifica del Fucino, che ha bocciato l’idea del riallagamento del bacinetto, suggerendo piuttosto di allagare la valle di Amplero, per avere una discreta riserva d’acqua per il Fucino, ipotesi già studiata da un’importante società veneta. In chiusura c’è stato l’intervento di Francesco Proia, giornalista e scrittore, intervenuto a difesa dell’opera romana/Torlonia, sostenendo che qualche vite e ulivo non potrebbero comunque far fronte alla produzione del chietino, tantovale concentrarsi sui prodotti per cui siamo famosi in Italia e nel mondo, come le patate, le carote e gli altri ortaggi del Fucino. Thomas Di Fiore