Avezzano. The Revenant, l’ultima opera di Alejandro Iñárritu, è un film western pluripremiato del 2015. Un cinema lontano da quello che solitamente Iñárritu ci aveva raccontato, un universo a parte dall’indimenticabile Birdman, e lontano dagli standard del Di Caprio che tutti conosciamo. È una riscoperta, un nuovo inizio, una nuova vita per il regista in questione e per l’attore tanto discusso. The Revenant è un’avventura, una storia d’amore, di fede, di coraggio. Ambientato negli anni Ottanta nel Nord Dakota, parte con la fuga di un gruppo di cacciatori, dalle frecce degli indiani Arikara, e finisce per diventare il viaggio di un padre – Hugh Glass (Leonardo Di Caprio) – trascinato dalla voglia di vendicare l’assassinio di suo figlio per mano del compagno di squadra, Fitzgerarld (Tom Hardly). Il protagonista principale è il viaggio stesso, un viaggio che comincia nella mente di Glass, nel flashback iniziale, che è uno sguardo tra un bambino salvato per miracolo dalle mani dei coloni e quel cacciatore pronto a tutto per preservargli la vita. Qualsiasi sforzo però sarà vano. Il viaggio continua e i protagonisti fanno i conti con la fede, quella stessa fede che Fitzgerarld ridicolizza con storielle banali. Quella fede che Glass ritrova in sogno, in una cattedrale abbandonata, nelle braccia ormai grandi del suo bambino che è costretto a conoscere la morte prima di suo padre, e lo aspetta alla soglia di un ipotetico paradiso. È questa la grande differenza, il posto in cui ognuno ha riposto la propria fede. I flashback continuano e coinvolgono gli spettatori, con quell’incessante carrello della telecamera, e l’onnipresente luna che dall’alto osserva e nulla può e nulla vuole, e questa donna ci appare davanti, una donna di cui non sappiamo niente, che non fa che ripetere al suo amato Glass «quando c’è una tempesta e tu stai di fronte a un albero, se guardi i suoi rami penseresti che esso cadrà, ma se guardi il suo tronco vedrai stabilità». Ecco il nesso che introduce l’altra grande protagonista, la natura, la vastità degli ambienti e dei paesaggi che Iñárritu sfrutta per farci sentire sempre più piccoli e più impotenti, utilizzando il mezzo del dolore, delle ferite inflitte a Hugh dalla stessa natura, che lo costringono a trascinarsi a stento per le montagne del Nord America, in cerca di vendetta. Sta in ciò la grandezza di Leonardo Di Caprio nel riuscire a concedersi completamente al personaggio. Tutto questo senza dover dire non più di un paio di battute. Ci conquista così, con quella vendetta mutilata lasciata a un Dio lontano, con quel respiro finale, ripetuto, profondo, quell’agonia divenuta riposo. The Revenant non è un vero e proprio western. È un film profondo, dalle sfaccettature più varie che va oltre il limite. Storia di un uomo che lotta contro la natura in nome dell’amore. Quell’amor “che move il sole e l’altre stelle”. Gaia Sidoni*
*articolo tratto dal giornalino del Liceo Scientifico Vitruvio Pollione