Tagliacozzo. Un fiume, una risorgente, una catena montuosa e l’evoluzione di una città. Il patrimonio naturale, storico e culturale che nasconde il parco della risorgente del fiume Imele a Tagliacozzo è immenso e sembra essere uscito dettagliatamente allo scoperto: lo scorso mese ha preso il via il progetto “Rete sentieristica: la Risorgente”, grazie agli studi, ai rilievi ed alle ricerche applicate del geologo Christian Cannese ed all’interessamento dell’amministrazione comunale, in particolare nelle veci dell’assessore alla cultura, Gabriele Venturini. Il progetto, ideato direttamente dal geologo tagliacozzano, consiste in una valorizzazione e promozione dell’itinerario che conduce alla risorgente del fiume Imele, con partenza dal centro abitato, adoperando dei finanziamenti dell’Unione Europea sul POR FESR. Il luogo è particolarmente amato dalla cittadinanza specie per la serenità che solo la voce della natura può regalare; ciononostante per anni il sito è stato abbastanza trascurato, con attrezzi di un percorso sportivo (il famoso percorso-vita) in completa decadenza; gli ultimi lavori risalgono al 2012, in seguito alla nevicata, quando sono stati eliminati i numerosi tronchi abbattuti dal tempo. Oggi, finalmente, il percorso è rinnovato come una sorta di slow tracking dove sono istallati undici pannelli illustrativi intesi come un grande libro da leggere immersi nella natura che narrano la storia, l’evoluzione e la cultura del paesaggio; le attrezzature sportive, inoltre, sono state sostituite da quelle più nuove. Il primo degli 11 pannelli dà il via ad un’immersione in un mondo geologico, storico e naturalistico decisamente avvincente partendo proprio dal nome del sentiero, Il percorso dei muli, in relazione al tragitto effettuato un tempo dai contadini delle zone circostanti per trasportare il grano con i muli presso i tre mulini di Tagliacozzo. Le sorprese dell’itinerario sono numerose e stupiscono già al secondo punto, dove si reperisce un fossile di estrema rarità: sembra che negli anni della preistoria, durante l’epoca dei dinosauri, le rocce calcaree su cui sarebbe nata la città di Tagliacozzo si formarono su un fondale marino di tipo lagunare; ebbene sì, la caput frigoris dell’Abruzzo, una volta era una zona calda e tropicale. Il fossile rinvenuto nella roccia sembra risalire attorno ai 70-80 milioni di anni fa e la rarità risiede proprio nella sua posizione verticale (che denota la morte dell’animale avvenuta per causa efficiente di una tempesta marina)rimasta stabile dopo milioni di anni. Nel panorama di fronte, invece, si possono notare gli orti terrazzati, un macromondo economico degli antichi che instaurarono un sistema di cooperazione sociale per poter coltivare su una singola parete di una montagna diversi terreni disposti a livelli; ancora oggi, alcuni sono sfruttati. Giunti nella valle della risorgente, dai pannelli è possibile studiare tutta la storia evolutiva e geologica del territorio: lo scontro delle placche del sottosuolo permise al fondale marino di emergere in forma di catena montuosa. In un movimento durato milioni di anni, le placche della catena si sono urtate e poi allontanate causando la separazione delle due montagne (Monte “La Difesa” e Monte “Civita”) che, ruotando in senso opposto, hanno permesso un’apertura concava tra le rocce: in questo modo, è stata provocata una deviazione di novanta gradi del fiume Imele (nato a Verrecchie ed immerso nell’inghiottitoio dell’Ote) e la sua riemersione in superficie, e si è determinata l’origine vera e propria della città di Tagliacozzo, nata ed evoluta nella spaccatura delle montagne (da qui, l’origine del nome talea cotium). Dopo alcune spiegazioni sui fenomeni carsici che hanno portato alla formazione delle spettacolari grotte di Beatrice Cenci, a Cappadocia e di quelle altrettanto splendide del Cervo, a Pietrasecca, il sentiero ripercorre l’ultima tratta del percorso dei muli conducendo nel sito preciso dove erano installati i mulini la Valle delle Mole. L’invenzione straordinaria del mulino fu importantissima per la città, in quanto permise di sfruttare l’energia del fiume per eseguire numerosi lavori come la produzione della farina, dell’argilla, il folare della lana, il taglio della legna, la lavorazione del ferro. Successivamente, l’energia idraulica fu sfruttata per far girare una turbina elettrica capace di portare Tagliacozzo ad essere il primo paese illuminato nella zona, nel lontano milleottocentoottantotto. Ovviamente, come ogni storia, non esistono solo i lati positivi: nel periodo dal 1550 al 1850, denominato dagli scienziati come periodo della piccola era glaciale, la zona nei pressi del sentiero fu disboscata quasi completamente per permettere alla gente di soddisfare le varie esigenze. L’ambiente risultò destabilizzato sia nella flora che nella fauna e successero numerose alluvioni e frane, che non trovando alcuna radice di freno, provocarono ingenti danni, arrivando nel fondovalle, sino a porta corazza ed oltre. Solo alla fine dell’ottocento si decise di re-inserire nuovamente la vegetazione con dei pini, ma con il terremoto del 1915, si crearono ulteriori danni, dovuti a frane e alluvioni.
Ad oggi, le placche nel sottosuolo sono in continuo movimento e quella che in origine era una zona marittima milioni di anni fa, oggi è una montagna e non si può definire con precisione cosa diventerà tra milioni di anni. Un messaggio è certo,in natura nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Eraclito diceva panta rei, come scrive lo stesso geologo Cannese svelando un po’ il mistero universale nascosto nell’evoluzione di questa valle che tanto ha tolto e regalato alla città di Tagliacozzo. Questo sempre per sottolineare come l’uomo non rappresenti altro che un micro-cosmo infinitesimo all’interno di un macro cosmo in continua evoluzione. E tutta questa civiltà che oggi ci sovrasta e che non è altro che un’umana invenzione, non è detto che evolverà in una nuova direzione… che ci sia anche un ritorno all’approccio di vita naturale?
Foto e servizio di Raffaele Castiglione Morelli