Arrivateci in una bella giornata di sole. Fiancheggiate l’affascinante Piazza Obelisco e arrivate al fiume Imele: troverete un gioco di pietra, di verde e di acqua, tutto perfettamente coerente e incastonato in maniera naturale sotto la rinfrescante pineta. Ma con la bellezza, arrivi fino ad un certo punto. Poi, quella cornice devi saperla riempire di colori e di idee convincenti. Ed è proprio quello che sta cercando di fare Maurizio, insieme alla moglie Gabriella e a tutto lo staff della Parigina, elegante locanda situata nel centro storico di Tagliacozzo, mèta prediletta di turisti e locali.
“Ogni attività ti ripaga per quello che ci metti”, ci racconta Maurizio. “L’impegno è costante, e parte da un punto fermo: i nostri clienti, che preferisco chiamare ospiti. Facciamo il possibile per creare un ambiente familiare, caldo, informale ma curato, che li faccia sentire a proprio agio. Partendo da questo presupposto, la cucina cerca poi di dare seguito al concetto. Amo definire la nostra una “cucina della memoria”: quei sapori di una volta, autentici e ben definiti, che cerchiamo di far ritrovare nel piatto. Le mode non contano nulla: sono i sapori veri dei piatti che fanno la differenza. Eliminando il superfluo e ritornando all’essenza”.
“Mi definisco un “ignorante curioso”: il mio lavoro è bello perché più ti cimenti, più scopri cose nuove. Non si finisce mai di imparare. Col massimo rispetto per le scuole di cucina moderne e rinomate, la massima ispirazione la trovo nelle chiacchierate che faccio con gli anziani del mio paese: mi ispiro a loro, assaggio i loro piatti, chiedo come li hanno preparati, che ingredienti usano (o usavano una volta) e cerco di riprodurli, magari aggiungendo un pizzico di modernità e di creatività nella presentazione Alla base, ovviamente, c’è un lavoro costante di ricerca della giusta materia prima: tutto parte da là, dal prodotto che lavori. Ci deve essere rispetto, verso il prodotto e verso chi lo crea. Se uno ha capito questo, ha capito quasi tutto della cucina”.
Sul concetto di memoria e identità, Maurizio insiste: “Se la memoria non c’è, occorre crearla, raccontando all’ospite l’origine di quel piatto e gli ingredienti con cui è preparato. Le fettucine non sono solo fatte a mano in casa, ma sono fatte con le uova delle galline del contadino, che ce le porta ogni mattina. Le farine che usiamo, non sono farine industriali, ma per la grande maggioranza provengono da piccole produzioni locali e, in piccola parte, anche da grani di nostra coltivazione. Chi mangia da noi deve ritrovare nel piatto gli odori del grano, della molitura, i sapori delle uova fresche, e tutti quegli aromi autentici che danno identità alla ricetta”.
Un altro pilastro importante per Maurizio è quello della squadra: “In cucina non esiste lo chef, ma è tutta la squadra insieme che cucina. Ci chiamiamo per nome e cerchiamo di essere sempre affiatati e partecipi, in ogni situazione, anche quelle più complicate, quando magari dobbiamo gestire grandi numeri in tempi ristretti. Solo con un team unito e collaborativo puoi andare avanti. E magari, se i ragazzi avranno il coraggio di prendere l’iniziativa, prima o poi potrò anche defilarmi. Non vedo l’ora che venga qualche giovane con idee buone e voglia di fare, col quale sedermi a tavolino e definire il futuro di questo posto: potrò continuare a supportarlo, se vorrà, ma così avrò anche il tempo di dedicarmi ad altro…”.
Perché Maurizio, a stare fermo, proprio non ci riesce. Sta acquistando uno splendido podere nella Valle Roveto, dove inizierà a produrre olio extravergine di qualità. E quando, durante questa intervista, ha scoperto che in quella zona sarebbe possibile produrre del Montepulciano d’Abruzzo Doc (cosa attualmente non rivendicata da nessuno), i suoi occhi hanno brillato di una nuova luce…