Dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943 per un po’ di tempo la vita nelle nostre zone sembrò scorrere tranquillamente. I lavori nelle campagne si svolgevano regolarmente e anche lo zuccherificio di Avezzano fece la consueta campagna saccarifera. Nell’azienda del principe Torlonia, di cui i tedeschi si erano impadroniti requisendo i raccolti di patate, di grano e il bestiame, si continuò a lavorare come prima anzi la mole di lavoro in quel periodo aumentò. Col passare del tempo la repressione dei tedeschi si faceva sempre più dura ma di contro si faceva sempre più intensa l’azione partigiana e di sabotaggio, così come l’ostilità della popolazione contro l’occupante era sempre più forte e manifesta.
Mario Celio, nato ad Avezzano il 21 gennaio 1921, chiamato alle armi, aveva partecipato come caporale carrista alle operazioni belliche in Africa settentrionale. Al momento dell’armistizio il giovane si trovava dai suoi, in licenza di convalescenza. Non esitò a lasciare Avezzano per prendere parte alla Guerra di Liberazione, nella quale si distinse, a più riprese, per il suo coraggio. Nel 1944, per via del fronte sempre più vicino, Avezzano era diventato un luogo strategico di rifornimento di viveri e armi e molti camion carichi di merce si muovevano verso la linea del fronte per rifornire l’esercito tedesco. C’era un soldato tedesco alla guida di un camion che si intratteneva spesso in una casa di appuntamento ma, siccome in passato era già stato derubato, quel giorno decise di lasciare di guardia sul camion un soldato armato.
Mario decise di tentare l’impresa. Aprì il camion ma trovò il soldato che gli puntò il fucile. Lui aveva un trench lungo e dentro la tasca una pistola. Sparò al soldato dalla tasca e lo uccise ma mentre fuggiva i compagni non lo riconobbero e gli lanciarono una granata che lo ferì. Venne quindi catturato dai tedeschi e insieme a lui vennero arrestati per sospetta complicità anche Gina la sua fidanzata e il padre di lei Giustino Lanciotti. Tutti e tre furono portati nel carcere di Tagliacozzo. Luisa Lanciotti detta Gina era nata a S. Anatolia il 6 febbraio del 1920 da Giustino Lanciotti e America Scafati e con la famiglia si era trasferita ad Avezzano. In quel tempo, con gli alleati alle porte e i continui bombardamenti in corso, l’ultima cosa che ai tedeschi premeva era il rifornimento di cibo nelle carceri. La situazione quindi anche per Mario, Gina e Giustino era molto difficile e Caterina Lanciotti, sorella di Giustino, decise di inviare loro del cibo tramite suo figlio Tonino Tupone. Tonino caricò quindi l’asino e insieme ad Ines, la sorella di Gina, e alla sorella di Mario, si incamminarono verso Tagliacozzo.
Poco prima di entrare in paese seppero che Gina aveva sopraffatto un soldato e con uno stratagemma aveva fatto fuggire tutti i prigionieri. Tonino decise quindi di tornare indietro perché era troppo rischioso avvicinarsi a Tagliacozzo. Ines invece non volle tornare perché voleva essere certa della sorte della sorella ma, giunta davanti al carcere, quando i soldati capirono chi era, la misero in prigione per interrogarla. Giustino in fuga aveva dei parenti a Radicaro e riuscì a farsi ospitare dalla famiglia di Lorenzo Di Michele. Gina e Mario provarono ad attraversare il fronte a Cassino senza successo. Nel frattempo i tedeschi andarono a Sant’Anatolia per interrogare i familiari di Giustino ma la moglie, America Scafati (n.1893), fu avvisata in tempo e si nascose. Fecero quindi prigioniero Lorenzo Lanciotti (n.1894) fratello di Giustino e lo tennero recluso per una settimana. Lo torturarono ma, poiché Lorenzo non sapeva nulla, dopo una settimana lo rilasciarono. Quando Gina seppe che la sorella era stata incarcerata si consegnò spontaneamente al comando tedesco di Borgorose e Ines venne rilasciata.
Mario Celio si rifugiò sulle montagne aquilane dalle quali portò a termine molte imprese contro i tedeschi. Ma un giorno, nel tentativo di far evadere i detenuti politici rinchiusi nel carcere di Avezzano in procinto di essere deportati in Germania, venne tradito e catturato. Per portare a compimento la sua azione, Mario aveva finto di arruolarsi nell’unità fascista “La Duchessa”, ma il colpo non gli riuscì. Venne condannato a morte dal Tribunale militare tedesco e, orribilmente sfigurato dalle inumane sevizie, venne fucilato al poligono dell’Aquila il 31 maggio del 1944. Fu sepolto nel cimitero comunale nella zona H – n. 200.
Mario Celio ebbe la Medaglia d’oro al valor militare alla memoria con questa motivazione: “Magnifica figura di intrepido combattente attaccava da solo, in diverse occasioni, soverchianti forze nemiche, infliggendo sempre a queste gravi perdite in uomini e materiali. Gravemente ferito veniva catturato e condannato a morte. Riuscito ad evadere riprendeva la lotta, catturato una seconda volta e nuovamente evaso, ritornava a combattere. Nel corso di un’audace impresa da lui organizzata per liberare alcuni partigiani dal carcere in cui erano detenuti, scoperto e circondato dalle guardie armate, apriva contro queste il fuoco abbattendone due e ferendone altre, finché dopo strenua lotta, esaurite le munizioni, veniva per la terza volta catturato. Sottoposto a torture e sevizie, teneva contegno fiero e superbo; condannato a morte affrontava il plotone di esecuzione con il coraggio degli stoici e la serenità dei martiri più puri”. A Mario Celio è stata dedicata una via ad Avezzano, che si trova nel quartiere concentramento, nei pressi della pineta.