Avezzano. E’ un Giamba Venditti perfettamente a suo agio quello che ieri ha calcato il campo dell’Avezzano Rugby per donare ai giovanissimi giocatori gialloneri del materiale tecnico per gli allenamenti. E si commuove, Venditti, quando ricorda che è proprio da lì, da quel prato verde smeraldo che ha coltivato e maturato il suo amore e la sua passione per la palla ovale. Perché Giamba, nonostante la stazza da uomo adulto e da rugbista fatto e finito, in grado di scardinare le difese avversarie come un ariete romano, non ha perso nulla di quell’entusiasmo giovanile, a tratti adolescenziale. Ama il rugby, più di ogni altra cosa. E non perde occasione per dimostrarlo. Ecco perchè, a giusta ragione, è considerato un esempio da seguire.
Ti va di spiegarci come è nata questa bellissima iniziativa?
Tutto è nato in maniera molto spontanea, principalmente dal feeling che mi lega a questa società che, come molte altre in giro per l’Italia, ha problemi di varia natura. Nella mia ultima visita avevo deciso che non mi sarei più presentato a mani vuote e parlando con il presidente Seritti abbiamo stilato una lista di materiale tecnico di cui i giovani atleti marsicani avevano bisogno.
Di che materiale si tratta?
Di palloni per il minirugby e per gli under (misure 3 e 4), oltre che scudi e sacchi per placcaggi. Ho contattato la Rhino, tra i leader mondiali del settore, che ha accolto con entusiasmo e partecipazione la mia richiesta. Non solo, dopo avermi confermato la disponibilità si è impegnata per pagare anche le spese di spedizione. Sono stati eccezionali, davvero. Per i giovanissimi è fondamentale potersi allenare con attrezzature specifiche.
Capitolo nazionale: sei uno dei leader del nuovo coso targato Conor O’Shea, con numerosi giovani e, finalmente, una importante profondità della rosa. Questo ricambio è finalmente ciò che serve per compiere il salto di qualità?
Sicuramente sono stati fatti miglioramenti. La grossa differenza, però, è che abbiamo ricambi in diversi ruoli dove storicamente eravamo deficitari. Basta guardare gli infortuni per capire il roster che abbiamo a disposizione. E ne arriveranno di nuovi. Gli under 20 sono giocatori validi, preparati, sia fisicamente che tecnicamente e con grande voglia di emergere. Da questo punto di vista, sono fiducioso.
Qual è l’obiettivo di questo tour autunnale?
Vincere almeno due partite. Con le Fiji e con l’Argentina ce la possiamo fare. Col SudAfrica, chissà, se è successo una volta potrebbe ricapitare. Personalmente l’ultimo infortunio che ho avuto mi ha dato più noie del previsto e, quindi, non essere in forma al 100% mi impedisce di aiutare i miei compagni e la mia nazionale. Ma è giusto così: gioca solo chi sta realmente bene.
Il progetto è chiaro e il ricambio generazionale è arrivato. Ora bisogna concretizzare. Come giocatori, avete la percezione che il pubblico abbia esaurito la pazienza?
Certamente si, e li capisco. Anche io da tifoso voglio che la squadra per cui faccio il tifo vinca. Il problema, però, è sempre lo stesso: il gap che ci separa dalle altre nazionali. Da un punto di vista economico, storico, di tradizione, affrontiamo sempre e solamente i primi della classe e, per usare un’espressione forte ma indicativa, questo è un gioco impari. E’ come se la nostra nazionale di calcio si trovasse ad affrontare ogni volta il Brasile o l’Argentina o la Germania. Non è così impossibile che perda alcune di queste partite. Ciò che non deve essere messo in discussione è il nostro. Quello mai.
La crescita della nazionale passa attraverso quella delle Zebre e della Benetton. Riguardo i bianconeri la sensazione è che dopo il cambio di guida tecnica, abbiate trovato quella tranquillità che vi permetta di esprimervi al meglio.
Il nuovo coach è stato il nostro più grande acquisto. Ha portato normalità laddove scarseggiava. Rispetto agli allenatori italiani che abbiamo avuto è meno passionale ma più organizzato e attento al lato umano. Non ha bisogno di scenate o di urla per farsi capire e tratta tutti alla stessa maniera. Ognuno sa cosa deve fare, e come deve farlo. Ciò fa si che il gruppo sia unito e che tutti si sentano importanti. Finalmente vi è tranquillità e, soprattutto, un’idea da rugby da portare avanti.
La principale differenza col passato?
Che ogni partita la giochiamo per vincere.
Per concludere, chi è il nuovo Giovanbattista Venditti?
Non c’è. Sono già tutti più forti di me. Questo, però, non vuol dire che io sia pronto a far panchina (ride, ndr). Federico Falcone