Tagliacozzo. Marco Callegari, prima di essere ucciso dal colpo di pistola al cuore sparato da Pietro Catalano, temeva di essere fatto fuori e gettato nel laghetto della Piccola Svizzera, in modo da non essere più trovato. In più occasioni, infatti, secondo le testimonianze, l’ex pugile aveva confessato questo timore, e proprio per questo aveva rifiutato l’incontro fissato da Catalano alle 20, proprio al laghetto.
Intanto è stata fissata per martedì mattina, a Roma, la data dei funerali di Callegari, il 46enne ucciso per questioni legate alla morte di un cane. Forse domani arriveranno altri risultati dell’autopsia che potrebbero svelare importanti dettagli utili alla ricostruzione della dinamica dei tragici fatti. Tasselli da incastrare nel mosaico di sangue di questi giorni, nel quale, oltre alla vittima, c’è uno dei quattro romeni, presenti all’aggressione, che è rimasto gravemente ferito e ricoverato in coma in un ospedale romano.
Temeva il peggio Callegari e lo avrebbe confidato in più pccasioni. Ha infatti insistito per evitare l’appuntamento al laghetto Valliverdi, alle 20 di quella sera. Era un luogo inquietante, isolato, pericoloso. Finire in fondo a quelle acque era il suo incubo, un orribile presentimento di morte. Più sicuro era sembrato invece alla vittima vedersi nei pressi del maneggio Arcobaleno, sul bordo della strada provinciale per Cappadocia. Si sbagliava Callegari perché probabilmente ogni luogo avrebbe portato alla stessa terribile fine. “Una brava persona”, dicono in molti nel descrivere Marco Callegari, che ha accettato di andare all’appuntamento con la morte in un mite pomeriggio di fine estate, a due passi da casa sua, e da quella del suo assassino, col quale aveva evidentemente qualche antica ruggine da sistemare. Ex pugile, robusto e coraggioso, ma anche riservato, non aveva un lavoro stabile Marco, accettava qualche occasionale chiamata come addetto al servizio di sicurezza di alcuni locali marsicani. Non aveva una moglie, non aveva figli Marco. Quel giorno era in compagnia di un amico col quale ha vissuto la sua ultima giornata di vita, col quale è andato al tragico incontro. Unico testimone di quanto accaduto, l’amico di Marco che, assistito dai suoi legali, Luca e Pasquale Motta, sta aiutando gli inquirenti a far luce sulla vicenda. Marco amava gli animali, i cani in particolare, era ben voluto dai vicini di casa, nella Piccola Svizzera, alle porte di Tagliacozzo, un’oasi di pace, si legge nelle indicazioni stradali che conducono alla zona residenziale. E invece il 46enne su quella strada, in una piazzola di sosta, a due passi dai maneggi, ha incontrato la morte.
La prova più schiacciante nei confronti di Catalano è ora l’arma del delitto. I carabinieri di Tagliacozzo hanno ritrovato la pistola visionando le immagini delle telecamere che Catalano stesso aveva dentro casa sua. Hanno così prima visto che prendeva l’arma uscendo di casa, per poi rientrare senza pistola dopo due minuti. Non è stato difficile circoscrivere la zona, battuta a tappeto. Gianluca Rubeo