Avezzano. Nel Parco nazionale d’Abruzzo è di nuovo emergenza veleno? E’ quello che si chiedono dall’associazione Salviamo l’orso dopo il ritrovamento di un’orsetta senza madre. “Si attivino da subito nuove misure di prevenzione e repressione non più rimandabili”. Il ritrovamento dell’orsacchiotta di appena tre mesi comunicato dal sabato scorso e il rinvenimento di una carcassa di lupo poco lontano lasciano pensare che mamma orsa possa essere stata vittima del veleno. Tutto ciò andrà ovviamente confermato da ulteriori indagini sul territorio e dalle indagini necroscopiche sul lupo ma purtroppo il nostro timore di un ulteriore atto criminale contro il Parco nazionale e la sua preziosa fauna è più che giustificato.
“Nella stessa zona”, saffermano dall’associazione, “si ripetono da anni regolarmente episodi di avvelenamento della fauna selvatica tramite la semina di micidiali bocconi avvelenati . Vittime di questi criminali ad oggi sono state numerose volpi, alcuni lupi ,altra fauna minore e probabilmente un orso di un anno di cui furono recuperati pochi resti nel settembre 2013.
Le indagini del Servizio di sorveglianza del Parco nazionale e del Corpo Forestale dello Stato sembrano non produrre alcun risultato nemmeno in termini di deterrenza altrimenti non si spiegherebbe la facilità e la frequenza con cui gli avvelenamenti si ripetono. Ci rendiamo conto che nonostante l’impegno delle guardie non sia facile ottenere dei risultati ma alcune semplici misure di prevenzione , controllo del territorio e repressione invocate dalle associazioni non sono mai state prese in considerazione Per esempio: il corpo forestale ha reparti specializzati in questo tipo di indagini (Noa e Nipaf) che non ci risultano essere stati impiegati in loco nonostante il ripetersi di questi episodi; non si è mai ricorsi alla video sorveglianza dei punti di accesso all’area per registrare le targhe delle autovetture e controllare il passaggio delle persone . Misura comune in tante aree protette europee ed internazionali; l’adozione di provvedimenti drastici ed irrimandabili quali il divieto di accesso e la chiusura a tutte le attività della zona interessata dagli avvelenamenti per almeno 6 mesi/1 anno, l’unico modo per costringere la comunità locale a farsi essa stessa sorvegliante della legalità cosi come avviene in Spagna per esempio o come si è fatto in Italia alcuni decenni fa per arrestare la piaga degli incendi boschivi dolosi impedendo l’utilizzo dei suoli percorsi dalle fiamme.
Per quanto riguarda il futuro dell’orsetta”, aggiungono da Salviamo l’orso, “si tratta adesso di capire se è possibile pensare ad un programma di riabilitazione per l’animale che renda possibile il suo rilascio in natura di qui a qualche mese. Abbiamo alcuni esempi di successi in questo campo, uno di questi in Trentino con un cucciolo denominato M11 , ci rendiamo conto della difficoltà dell’impresa ma crediamo che valga la pena tentare non solo per non privare la popolazione di orso marsicano di una futura preziosissima “mamma orsa” ma anche nel caso di un fallimento, per far tesoro di un’esperienza che potrebbe tornare utile in future analoghe circostanze”.