Avezzano. Lunedì 16 novembre alle 16, nell’aula conferenze del Comune di Avezzano, il ricercatore e saggista Fulvio D’Amore tratterà, per l’Università della Terza Età e per l’Auser, il tema storico: «Marsica Borbonica. Terre, uomini e istituzioni (1734-1861)». La lezione, accompagnata da un dettagliato percorso multimediale (PowerPoint), caratterizzato da immagini e documenti d’epoca, è finalizzata a spiegare un periodo che inizia dall’ascesa al trono di Carlo III di Borbone, alla Restaurazione di Ferdinando IV del 1815 con il nome di Ferdinando I, fino alla caduta dell’ultimo baluardo borbonico rappresentato dalla fortezza di Civitella del Tronto (20 marzo 1861). Uno scenario socio-politico-economico di ben centoventisette anni, che vide la Marsica, una regione inclusa allora nell’Abruzzo Ulteriore Secondo posta sulla linea del confine pontificio, sconvolta dalle ripercussioni della Rivoluzione Francese protesa ad abbattere con forza l’Antico Regime. Insorgenze contro i signori giacobini locali e forti assembramenti massisti avversi alle truppe francesi, insanguineranno Avezzano e dintorni. Nell’esposizione della difficile tematica, il saggista affronterà l’organizzazione giuridica del territorio, citando nomi e uomini marsicani al servizio dei feudatari del posto e poi asserviti al governo di Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, sempre in lotta con il vescovo dei Marsi, per la supremazia territoriale o per la nomina dei sacerdoti ai benefici. L’analisi, svolta a tutto campo con documentazione d’archivio di prima mano, permetterà di capire le difficili strutture giuridico-amministrative della zona dove, al momento dell’insediamento del Borbone (1734) vigevano ben undici legislazioni, usate a proprio favore da baroni, conti, marchesi vescovi e molti locati della Dogana di Foggia, che cercavano di sfuggire con le immunità previste alle Corti Baronali e alle Udienze Provinciali. Insomma, un panorama complesso e variegato di norme dal quale era arduo districarsi sia a livello civile che penale. In realtà, tutto questo, era stato generato dai precedenti governi (spagnoli e austriaci), che avevano ingenerato nelle popolazioni della Marsica e del regno di Napoli una profonda sfiducia nei giudici e funzionari periferici (presidi, governatori, massari, subalterni, etc.). D’altronde, il fallimento della politica di regime, fu ben evidente negli inefficaci provvedimenti adottati verso la giustizia feudale ed ecclesiastica, rimanendo uno dei mali peggiori che travaglieranno anche in seguito la vita del Mezzogiorno. L’intero territorio marsicano, diviso in due tronconi (da una parte i Colonna, dall’altra i conti di Celano e della Baronia di Pescina), rimase così sottoposto ai pessimi amministratori dei due potenti signori romani per lungo tempo, almeno fino al periodo del cosiddetto «Decennio francese», dal quale scaturirono le nuove leggi eversive della feudalità con l’abbattimento dell’asse ecclesiastico (1806-1815). Al ritorno sul trono del re Borbone (17 maggio 1815) dopo il Congresso di Vienna, cominciò un altro lungo e travagliato periodo di rivoluzioni costituzionali (1820-1848), che vide coinvolti numerosi proprietari terrieri e armentari della Marsica protesi, soprattutto, a difendere i propri interessi zonali, lasciando contadini, braccianti e pastori (che erano la maggioranza della popolazione marsicana), nella più squallida miseria. Quotizzazioni, demani e usi civici rimasero al centro della questione, causando, ogni qual volta la situazione politica peggiorava, la reazione delle masse rurali, che causarono non pochi tumulti di piazza fino al 1860. Non andò certo meglio dopo l’Unificazione italiana, laddove il problema della terra da assegnare agli indigenti rimase, per il misero cero rurale, un sogno irrealizzabile.