Un reportage durato otto mesi (ottobre 2007-maggio 2008) e che ha toccato ben 27 realtà della diocesi di Avezzano. L’idea fu dell’allora caposervizio, Nino Motta, che conoscendo il mio attaccamento alla religione e il mio legame con la Chiesa cattolica pensò che tutto ciò potesse divenire un servizio per i lettori del giornale, ma anche per le comunità parrocchiali a volte dimenticate nonostante il loro grande impegno nella evangelizzazione e di migliaia di fedeli di tutto il vasto territorio. L’idea fu ben accolta dal caporedattore, Roberto Marino.
Così, d’accordo con l’allora direttore Luigi Vicinanza, si decise di farmi intraprendere questo affascinante “Viaggio nelle parrocchie” della Marsica con un appuntamento settimanale fisso. Io ero abbastanza titubante e ritenevo l’impresa troppo dispendiosa in termini di tempo e impegno che sarebbero stati sottratti alla cronaca del giornale. Invece presto mi resi conto che ne sarebbe valsa la pena. Nacque così una rubrica sul quotidiano Il Centro, del gruppo Espresso, che usciva la domenica mattina. Fu un successo. I giornali andavano a ruba e i fedeli si precipitavano in edicola per leggere cosa si diceva della loro parrocchia, del loro impegno nel volontariato, nella preghiera e nell’apostolato. Grande apprezzamento per l’iniziativa fu espressa dal vescovo dei Marsi, Pietro Santoro, che arrivato da poco alla guida della diocesi era entusiasta di conoscere, se pure solo da un punto di vista mediatico, ogni singola realtà della Marsica. Il giornale ricoprì veramente un ruolo di servizio e approfondimento sociale e culturale, oltre che di informazione.
Un territorio immenso, con una superficie di 1.700 chilometri quadrati e una popolazione di 115mila abitanti. Un mondo, quello delle parrocchie, a volte invisibile e misterioso, ma che nasconde, dietro il lavoro quotidiano di tanti sacerdoti, straordinarie storie di amore e altruismo; che cela, dietro l’apparenza di imponenti facciate di marmo e cemento, uomini e donne impegnati con sacrificio e dedizione in una missione di vita. Che sia una chiesa di campagna, come quella di Castelnuovo, o una maestosa cattedrale, come quella di Avezzano, si tratta di comunità impegnate ogni giorno, con piccoli o grandi gesti, a far rivivere il miracolo delle prime comunità cristiane e il mistero di Cristo morto sulla croce e risorto.
Pietro Guida
LA CATTEDRALE DI SAN BARTOLOMEO (6 ottobre 2007)
Avezzano, cattedrale di San Bartolomeo
E’ la parrocchia del centro della città, che deve fare i conti ogni giorno con la freddezza di un quartiere sempre più preso dalla routine della società moderna, saturo di negozi e uffici, che va incontro a un inesorabile spopolamento per divenire, man mano, il cuore degli affari. Ma la cattedrale, guidata da quasi vent’anni da don Giovanni Gagliardi, è anche un porto di mare, dove arrivano poveri e tossicodipendenti.
Le quattro chiese della parrocchia, la cattedrale di San Bartolomeo apostolo, Don Orione, San Giuseppe e Pietraquaria, comprendono i quartieri all’interno del Quadrilatero, dal centro alla stazione, da via Roma a via XX settembre, fino a via Garibaldi. Si tratta di una realtà pastorale di 3.500 anime che brulica di associazioni e iniziative rivolte ai giovani, ma non mancano le difficoltà e i problemi. Primo tra tutti quello dello spopolamento. «Quando arrivai in questa parrocchia era il lontano 1988», racconta il parroco don Giovanni, «e gli abitanti erano quasi il doppio. Ora il quartiere si sta spopolando e le famiglie se ne vanno per dare spazio a uffici e attività commerciali». I battesimi da quaranta all’anno sono passati a trenta. «Un anno», afferma con un pizzico di amarezza don Giovanni, «abbiamo battezzato solo venti bambini e le iscrizioni al catechismo sono sempre di meno». Si tratta di un fenomeno preoccupante per un quartiere dove quasi un terzo delle famiglie sono mono-persona e la percentuale dei praticanti si aggira appena intorno al 25 per cento. E poi la droga, che in centro circola anche tra i giovanissimi. Basti pensare alla zona del palazzaccio, nota per diversi casi di overdose, e che si trova proprio a pochi metri dalla cattedrale. «E’ un fenomeno evidente», ammette il parroco, «ma di cui non ho il polso della situazione, perché è una realtà sommersa per natura». Ma in parrocchia c’è anche il risvolto positivo della medaglia. Sono in continuo aumento associazioni e gruppi di giovani che hanno entusiasmo e che fanno volontariato con passione e dedizione. «Gente assidua e affidabile», spiega don Giovanni, «giovani che nel cuore hanno quei valori capaci di cambiare il mondo». Ma un monito, invece, il prete lo lancia ai genitori. «Quando le mamme e i papà non frequentano la chiesa», sostiene senza mezzi termini, «è molto difficile che lo facciano i figli. Fortunatamente ogni tanto accade il contrario e spesso in chiesa ci vengono più i figli che i genitori, soprattutto quelli di oggi. Una volta i ragazzi della prima comunione ce li portavano a messa, ora accade sempre più di rado». Ma questo fatto non sembra scoraggiare il parroco che fa una scommessa per il futuro, puntando tutto sui giovani. Quando descrive i gruppi della parrocchia, le attività e le iniziativa lo fa come parlasse di una grande famiglia. «E’ questa la nostra forza», spiega raccontando la festa della parrocchia dedicata a San Bartolomeo. Si tiene ogni anno l’ultima domenica di settembre e partecipano tutti i gruppi parrocchiali. Un’istantanea di una zona difficile della città emerge dallo scatto della realtà sociale del quartiere. Ma le prospettive della comunità della cattedrale fanno ben sperare, l’ottimismo del parroco e la vitalità dei fedeli sono la chiave per aprire nuovi orizzonti all’insegna della fertilità civile e culturale del centro.
La parrocchia della cattedrale contra 3.560 abitanti per 1450 famiglie con una media di persone a famiglia di 2,45. Sono 407 coloro che vivono da soli in centro e 349 le famiglie di due persone, 326 composta da tre componenti, 296 di quattro, 66 di cinque, 5 di sei e una di sette. La cattedrale fu costruita dopo il terribile terremoto del 1915 che rase al suolo la città. Nel 1937 il vescovo Pio Marcello Bagnoli, anche se la cattedrale non era ancora finita, volle inaugurarla celebrandovi il primo Congresso eucaristico diocesano. Nell’estate dell’anno successivo, il capo del governo, Benito Mussolini, di passaggio ad Avezzano, promise al vescovo durante un discorso in piazza Risorgimento, di ultimare la cattedrale. Il 2 dicembre 1942 la cattedrale dei Marsi fu solennemente consacrata. Durante la Seconda guerra mondiale, però, la cattedrale fu pesantemente danneggiata. Il successore di Bagnoli, morto il 17 gennaio 1945, monsignor Domenico Valerii, insieme al parroco don Achille Palmerini, si adoperò per la ricostruzione.
Tra le quattro chiese della parrocchia, a rivestire un ruolo importante dal punto di vista della tradizione, ma anche sotto l’aspetto della devozione popolare, è il santuario della Madonna di Pietraquaria. La festa dedicata alla Regina degli angeli, che si tiene l’ultima settimana di aprile, monopolizza l’interesse della popolazione. I preparativi coinvolgono tutta la città. Si tratta di una tradizione ultracentenaria che dopo tanti anni ha lo stesso fascino di una volta. In quei giorni i quartieri cambiano volto grazie alla suggestiva atmosfera mista di fede, sacralità e culto. La sera prima della ricorrenza vengono accesi i “focaracci” con i rami secchi raccolti dai giovani con il rituale dello “strascino”. Questi fuochi, simbolo di venerazione, illuminano la strada che porta al Santuario. Sono dei grandi falò realizzati dai diversi quartieri della città. Intorno ai fuochi si riuniscono centinaia di persone che pregano da mangiare e cantano inni alla Vergine. La tradizione racconta che il 27 aprile del 1779, dopo un lungo periodo di siccità, l’effige della Madonna fu portata in processione per le strade di Avezzano per la prima volta e durante la celebrazione eucaristica la popolazione supplicava la Madonna di donar loro la pioggia. Fu così che, come per miracolo, il cielo divenne grigio e l’acqua cominciò a cadere copiosa sulla città. Da allora la celebrazione ricorre il 27 aprile, proprio per ricordare la grazia ricevuta dalla popolazione. Tutt’oggi la festa è molto sentita dagli avezzanesi che rinnovano i pegni d’amore e ripercorrono il cammino di pietà e di speranza, invocando la Madonna della Pietraquaria. Negli anni il culto per la Madonna del santuario avezzanese è cresciuto rinnovandosi costantemente. Nel 1838 i festeggiamenti si protrassero per tre giorni per l’incoronazione della Madonna e del Bambinello. Stessa cosa accadde nel 1889, in occasione del cinquantesimo anniversario dell’incoronazione. Dopo il terremoto, nel 1920, la Sacra effige fu portata in processione per le vie della città come augurio di una buona rinascita della città. Nel 1937, invece, i festeggiamenti per il centenario dell’incoronazione furono anticipati per farli coincidere con il primo Congresso Eucaristico diocesano.
PARROCCHIA DELLO SPIRITO SANTO (12 ottobre 2007)
È la parrocchia più grande della diocesi. Quella dello Spirito Santo, che conta quasi novemila anime, è però anche una delle comunità più giovani, che ogni giorno deve fare i conti con un quartiere dormitorio, abitato anche da giapponesi, americani e islamici. Una popolazione disomogenea, «a mosaico», come la definisce il parroco, don Augusto Bifaretti. Oggi l’obiettivo è la nascita di una vera “famiglia cristiana”.
I primi parrocchiani cominciarono a pregare nel seminterrato dell’immensa e moderna chiesa dello Spirito Santo, allora in fase di realizzazione. Dovettero attendere il 2002 prima che la chiesa fosse inaugurata. «Era prevedibile», spiega don Augusto, «che la ritardata costruzione dell’aula assembleare liturgica avrebbe rallentato anche la nascita della comunità cristiana». Alla base di questo ritardo, però, ha concorso anche la disomogeneità delle persone che si sono riversate in quella zona, gente di religioni diverse, culture sconosciute l’una all’altra. La presenza del complesso industriale della Texas, oggi Micron, richiamò in città personale da tutta Italia ma soprattutto dall’estero. La necessità di offrire abitazioni e l’applicazione della legge 167 per l’edilizia intensiva fecero il resto. Ci fu una grande e incontrollata espansione dei quartieri della Pulcina e di Scalzagallo. Oggi il fenomeno più allarmante è quello dell’individualismo. «A una sorta di indifferenza alla fede», spiega il parroco, «si aggiunge il distacco di coloro che non hanno il sostegno di un amico, il piacere di un conoscente, e che scelgono un inesorabile individualismo. Fenomeni impensabili in parrocchie cittadine di antica costituzione, più ancora nelle comunità dei piccoli paesi dove le comunità locali sono molto unite». E’ una parrocchia atipica quella dello Spirito Santo: i funerali quest’anno, su quasi novemila abitanti, sono stati soltanto 10 e i battesimi appena 17, una proporzione assurda. E’ un quartiere insolito, dove non si fa neanche la consueta benedizione delle abitazioni. «La gente a casa non c’è mai» spiega il parroco rammaricato, «tutti lavorano e la maggior parte degli appartamenti di giorno rimangono vuoti». Per questo è stata ideata la benedizione delle famiglie che si fa a turno in chiesa nel mese di maggio, grazie a una suddivisione dei quartieri. «Preferiamo benedire le famiglie piuttosto che le abitazioni», afferma don Augusto con un pizzico di ironia, «le case in fondo non hanno mai fatto male a nessuno». Il sabato e la domenica, inoltre, il quartiere si svuota perché le famiglie tornano nel paese di origine. E allora la parrocchia si dà da fare creando un gran numero di iniziative per l’aggregazione dei giovani. Non rimane altro che puntare sul mondo dei bambini. «Cerchiamo di far riscoprire almeno ai più piccoli le ragioni dello stare insieme, la bellezza della condivisione, per recuperare i valori della famiglia e dell’unità. L’esperienza ci dice che per il cambiamento e per la nascita di una grande comunità religiosa bisognerà attendere ancora qualche tempo. Arriverà quando le famiglie giunte per prime nella zona avranno raggiunto l’età della pensione e quando i vincoli dei figli con gli anziani genitori saranno sciolti per sempre qui in terra».
Fu dopo l’approvazione del piano di espansione urbanistico della città da realizzare nelle aree allora agricole della Pulcina e di Scalzagallo, che per la vastità del territorio e la popolazione che vi si sarebbe presto insediata il Comune previde un’area destinata al culto. Il vescovo Vittorio Terrinoni, il sette aprile 1986 intitolò allo Spirito Santo la parrocchia e affidò a don Lorenzo Santoponte il servizio religioso. Le funzioni si svolsero prima in alcuni garage, poi in un prefabbricato il legno regalato dal Friuli ad Avezzano, risorto dal terremoto di qualche anno prima, fino a quando nel 1991 venne posta la prima pietra. Solo nel 1999 vennero utilizzati i primi locali sotterranei. Finalmente, dopo tante peripezie burocratiche, il sei ottobre 2002 il vescovo Lucio renna, succeduto ad Armando Dini, benedisse la chiesa superiore e ne consacrò l’altare.
PARROCCHIA DI SAN GIOVANNI (19 ottobre 2007)
Un quartiere multietnico, multiculturale, ma soprattutto multireligioso. Il territorio della parrocchia di San Giovanni, tra le più antiche della città, ospita ben due moschee, una chiesa evangelica e una sala del regno, ma anche una comunità rom e il carcere. Il parroco, don Francesco Tallarico, punta sulle famiglie, sulle loro necessità spirituali e sociali, in un quartiere che deve fare i conti con casi di ordinaria povertà.
E’ un quartiere vecchio ma che si rinnova, una zona con tanti problemi ma laboriosa e pronta a riscattare il suo futuro. La zona, molto estesa, si estende da via san Francesco fino a via Napoli, e conta quasi ottomila anime. La parrocchia è in costante crescita e il parroco, romano di origine, vede il futuro alla luce dei valori legati alla famiglia. E i risultati ci sono. Secondo il parroco, è parlando ai grandi che i piccoli vengono educati e formati nel modo giusto. I praticanti sono il 20-25 per cento della popolazione, ma la percentuale supera l’ottanta per cento per le fasce giovanili. Ma il primo problema è la povertà. «Qui le famiglie», spiega il sacerdote, «hanno grosse difficoltà, in qualche caso, soprattutto in alcuni rioni, fanno fatica ad arrivare alla fine del mese. Ci sono problemi di povertà tanto gravi che spesso la preoccupazione principale è quella di trovare il necessario per il sostentamento di tutti i componenti della famiglia». Per questo la parrocchia fa missione sul posto, e per tali ragioni è stata riaperta la Caritas, che ha tanto da fare. Ma le famiglie sono alle prese anche con problemi di tossicodipendenza dei figli. I pericolosi tappeti di siringhe nella zona di Sant’Antonio ne sono la riprova. La zona, inoltre, è abitata da persone di ogni nazionalità e un quartiere multiculturale è di per sé multireligioso. Ci sono una moschea in via America e una in via del Pioppo, ma anche una chiesa evangelica in via Bolzano e una sala del regno nei pressi della superstrada. Poi c’è la comunità rom, ben accolta da tutta la parrocchia. Nel quartiere c’è anche una piazza intitolata a beato Zeffirino (Ceferino) Gimenez Malla, detto “El Pelé”, il primo zingaro che la Chiesa ha posto sugli altari, nato a Benavent de Lérida nel 1861 e fucilato al cimitero di Barbastr. Fu proclamato beato il 4 maggio 1997 da Giovanni Paolo II a Roma. Nel quartiere, però, oltre ai problemi c’è anche tanta voglia di fare e le famiglie della parrocchia dimostrano una eccezionale vitalità. Il parroco è convinto che «è necessario lavorare con le famiglie, coinvolgerle». Per questo in parrocchia le iniziative per gli adulti pullulano. La preparazione dei bambini, infatti, nella parrocchia di San Giovanni, inversamente a quanto accade nelle altre realtà, è diventata un’occasione per avvicinare le famiglie e non viceversa. «Stiamo pensando anche a iniziative specifiche per la formazione delle famiglie», annuncia il parroco. La famiglia religiosa di San Giovanni, quindi , apre le braccia alle singole famiglie del quartiere. «Soprattutto a quelle più giovani», sottolinea don Franco, «tra le quali il problema principale è quello delle frequenti separazioni». Braccia aperte anche ai battesimi dei figli di coppie separate, «basta si sentano parte della chiesa», afferma, «perché bisogna aiutare le famiglie in tutti i sensi».
Era il 30 dicembre del 1912 quando sua eccellenza monsignor Pio Marcello Bagnoli, vescovo dei Marsi, con sede ancora a Pescina, firmava il decreto di erezione della nuova parrocchia di San Giovanni Decollato ad Avezzano. La parrocchia nacque dalla divisione di San Bartolomeno, che era la prima e unica parrocchia della città. San Giovanni ebbe la sua sede nella chiesa di San Francesco. Questa chiesa, due volte distrutta (prima dal terremoto del 1915 e poi dal bombardamento aereo del 17 gennaio 1944) due volte è risorta. Proprio per questo motivo gli avezzanesi sopravvissuti ai due eventi distruttivi vi si sono attaccati come a una reliquia preziosa.
Il sito ufficiale della parrocchia è www.sobriaebbrezza.it mentre il giornalino parrocchiale si chiama “Corriere stanco”. Fanno parte della parrocchia, oltre alla chiesa di San Giovanni, quella di Sant’Antonio abate, in via San Francesco, e Sant’Antonio di Padova, vicino al cimitero.
PARROCCHIA DELLA MADONNA DEL PASSO (27 ottobre 2007)
Una quartiere che ha cercato e trovato il riscatto sociale. La zona del “Concentramento”, oggi Borgo Pineta, più che essere una periferia della città, è una città in periferia, autonoma e in crescita. La parrocchia Madonna del Passo, guidata da don Vincenzo De Mario, ne è il cuore. Oggi la comunità di fedeli, che conta ottomila abitanti, vive un periodo di grande impulso religioso.
E’ una delle più estese parrocchie della città. Il borgo è venuto su dopo la guerra del 15-18 e ha risentito della pluralità etnica dovuta ai campi di concentramento. E’ una zona influenzata dalla sensibilità di diverse culture.
«Questa caratteristica», spiega don Vincenzo, «oltre ai problemi, ha portato una grande ricchezza culturale, un contributo determinate per lo sviluppo del quartiere e della parrocchia». Una storia travagliata quella del quartiere. Nel campo di concentramento della Prima Guerra mondiale, di circa 45 ettari, c’erano rumeni, ungheresi e austriaci. Nella Seconda Guerra invece, ospitò circa 15mila inglesi. Ci furono successivamente problemi a causa della presenza di numerose case di tolleranza. Poi, in quella zona degradata, la gente cominciò ad arrivare dal carseolano e dal tagliacozzano. La commistione di tutto ciò portò alla formazione del quartiere. Con don Giuseppe di Iorio, che oggi ha 88 anni, cominciò il riscatto sociale.
Oggi Borgo Pineta è un quartiere accogliente, continuazione moderna e nevralgica della città. Si estende dall’ospedale fino a via Roma, e comprende una parte della Pulcina. Un territorio immenso per una parrocchia dove ci sono scuole, supermercati, uffici pubblici, strutture sportive, commissariato, polizia municipale, terminal autobus, banche, vigili del fuoco. Oggi la comunità di fedeli vive un periodo di grande vitalità. Le iniziative si sono moltiplicate e la chiesa è sempre più frequentata, soprattutto dai giovani. «La parrocchia», afferma don Vincenzo, «è il centro del quartiere, sia dal punto di vista religioso che come presenza sociale». I battesimi, una cinquantina all’anno, sono più delle morti, che non arrivano a quaranta. Dal 1976, inoltre, la popolazione della zona è quasi triplicata. Si tratta di dati che fanno ben sperare per il futuro e che fanno guardare avanti il parroco con un atteggiamento fiducioso. Il territorio oggi è abitato da due macro comunità: quella dei “parrocchiani doc” e quella che abita nella zona della “Terrazza”, oltre alla zona di via Nenni, dove c’è la comunità rom. «La prima area», sottolinea il parroco, «è composta da persone di diversa cultura che si sono amalgamate dopo la guerra. La seconda riguarda persone arrivate in città per motivi di lavoro, ma rimaste legate alle vecchie realtà di provenienza. Ora l’obiettivo è quello di far sentire queste persone parte della comunità in modo da costituire un’unica grande famiglia ecclesiastica». Un obiettivo che sembra sempre più vicino. Basti pensare che ultimamente a messa la domenica arrivano più di novecento persone. Un vero record per una parrocchia che ha dovuto in passato affrontare tanti problemi, ma che oggi guarda al futuro con entusiasmo e fiducia.
La provocazione di don Vincenzo: «Domenica aperto». E’ lo striscione che capeggia davanti alla chiesa, una sfida del prete ai supermarket, una iniziativa per incrementare le presenze dei fedeli alla messa domenicale. L’ironica trovata del parroco è servita a sottolineare l’importanza della liturgia eucaristica domenicale per un cattolico, ma è stata anche una “sfida” all’apertura dei centri commerciali sempre più diffusa nel giorno di festa. L’idea, messa in atto a metà maggio, nonostante lo stupore generale, pare aver sortito i suoi effetti. Molti fedeli, infatti, hanno colto subito lo spirito dell’iniziativa di don Vincenzo e riconosciuto di essere stati un po’ assenti a messa, promettendo una presenza più assidua alle funzioni religiose della domenica.
La parrocchia fu eretta il primo novembre 1956 con un decreto del vescovo dei Marsi, Domenico Valerii. Già prima della nascita del quartiere si cominciò a pensare alla chiesa. La zona era in decadimento ed erano rimasti solo i padiglioni costruiti per accogliere i prigionieri delle due guerre. In una passeggiata per le vie della zona il vescovo rimase atterrito per quanto aveva osservato e incaricò don Giuseppe Di Iorio di trovare un locale per celebrare la messa. Dopo l’utilizzo per vari anni di locali di fortuna e privati il 3 settembre 1955 fu posta la prima pietra. La nuova chiesa venne inaugurata il 29 settembre 1959. Venne costruito anche l’asilo infantile, affidato alle suore missionarie Zelatrici del Sacro cuore.
PARROCCHIA DI SAN PIO X (2 novembre 2007)
Un quartiere con una forte identità, dove si vive «a pelle» un senso di appartenenza, dove la parrocchia è attenta alla vita reale della gente, alla sua storia, ai suoi problemi. In una parola sola: Borgo Angizia, o meglio “Pucetta”. Qui la comunità di San Pio X è guidata da don Mario Pistilli. La missione da queste parti è portare il Vangelo in ogni angolo, anche in quelli più bui, dove ci sono i gli ultimi e gli emarginati.
Nel quartiere si respira un profondo desiderio di emancipazione, una voglia matta di non essere periferia. Per questo c’è un comitato di quartiere molto attivo, che fa capo proprio alla parrocchia. Un’associazione promotrice di iniziative che fanno anche da linee guida per le altre periferie, un comitato che ha anche delle finalità sociali. Nel quartiere di Borgo Angizia vivono oltre cinquemila persone. Si tratta di un quartiere ricco di tradizioni e in costante crescita. Basti pensare che ogni anno i battesimi, che arrivano a quota settanta, superano del doppio i funerali. I residenti della zona, fino al 1959, facevano parte della parrocchia di San Giovanni. Fu l’incremento demografico degli anni ’50 e ’60 a convincere la comunità ecclesiastica a trovare una soluzione all’affollamento della vecchia chiesa. Così si si decise di erigerne una nuova. Fu don Giulio Lucidi, l’allora parroco, a fare la proposta al vescovo dei Marsi monsignor Domenico Valerii che l’accolse senza esitare. Il territorio in questione oggi, così come allora, comprende da via America e via Roma, fino a Cesolino, e tutta la parte ovest fino al Salviano, compresa la chiesa di San Francesco. «Questo è un quartiere di gente generosa», sottolinea don Mario, parroco da 11 anni, «di persone buone e affettuose, è una bella realtà religiosa ma anche sociale, dove la parola solidarietà è all’ordine del giorno». Per il sacerdote «la parrocchia ha il compito di portare il Vangelo di salvezza agli uomini, per questo deve essere presente sul territorio in maniera concreta, tra la gente, e la sua azione è efficace quando si fa attenta ai bisogni quotidiani della gente, alla sua cultura e alla sua storia». Parrocchia per don Mario significa, traducendolo dal greco, “casa accanto”. «E allora», spiega il sacerdote, «accanto alle nostre case fatte di pietre e cemento c’è una chiesa, che non è solo un luogo fisico, ma dice molto di più. Infatti in mezzo agli uomini che vivono in un quartiere con tutte le vicende, le problematiche e le gioie di ogni giorno c’è una comunità di cristiani guidata da un sacerdote parroco, una chiesa in carne ed ossa». E la chiesa è molto vivace a Borgo Angizia. Ma i problemi? Secondo il parroco, a Borgo Angizia non ci sono veri fenomeni di delinquenza. «Qui i ragazzi si danno da fare», sottolinea, «questo è un quartiere di persone con spirito di umiltà», afferma il parroco, «qui i ragazzi si danno da fare. La droga è sì un problema, ma non riguarda la massa». La parola d’ordine, comunque, rimane “aggregazione”. La parrocchia spera di arrivare alla comunione di tutte le realtà del quartiere. «Vogliamo», conclude il parroco, «che si sia sinergia. Dopo quaranta anni dalla fondazione della parrocchia sento la gioia viva di continuare l’ottimo lavoro avviato dal mio carissimo predecessore, don Domenico Nucci, e da tutta la comunità parrocchiale che lo ha affiancato in questi anni lunghi e talvolta difficili».
La parrocchia di San Pio X a Borgo Angizia nacque nel 1958. Il quartiere in quegli anni era in crescita e San Giovanni non poteva più far fronte all’incremento demografico. In un incontro tra il vescovo Domenico Valerii, il parroco don Giulio Lucidi e quello designato Domenico Nucci si decise di intitolare la parrocchia a San Pio X. Questo per idea di don Giulio, che era cappellano del carcere. Qui un detenuto di nome Zanessi, aveva dipinto un quadro con l’immagine di San Pio X vicino a due comunicandi. Il sacerdote volle sottolineare quella devozione. La chiesa fu completata e consacrata nel 1969.
PARROCCHIA DEL SACRO CUORE IN SAN ROCCO (10 novembre 2007)
Non è solo una parrocchia, ma un vero centro di aggregazione, un luogo dove i giovani hanno una casa, i poveri un pasto caldo e i fedeli una chiesa sempre aperta. Tutto questo è il Sacro cuore in San Rocco, realtà guidata da don Adriano Principe, che è anche vicario del vescovo per l’evangelizzazione. Ma l’obiettivo non è solo quella di predicare il Vangelo: qui la missione si chiama “sociale”.
Arrivato da un anno, il parroco riceve le persone in una stanzetta al piano terra della canonica. Ma tutto il resto della struttura è riservata ai giovani. Nelle altre stanze ci sono bigliardini e chitarre. Fuori in giardino, invece, sono impegnati a discutere alcuni ragazzi, che nonostante sia mattina non sono a scuola. «Abbiamo avuto assemblea d’Istituto», ci tengono però a sottolineare, «e per questo abbiamo deciso di venire qui piuttosto che rinchiuderci in un bar». Fanno parte del centro di aggregazione giovanile, in costante crescita e dove arrivano giovani di ogni quartiere e di tutte le estrazioni sociali. «Hanno persone preparate con cui parlare», spiega il parroco, «disposte a capire i loro bisogni, lasciandoli liberi di scegliere. E hanno un prete disposto ad ascoltarli e pronto a dare loro consigli utili». Questo è un modo diverso per tenere lontano i giovani dalla droga, ma è solo un aspetto della parrocchia di San Rocco, dove arriva tanta gente, dove passano ogni giorno decine di persone, non solo quelle che vanno in chiesa per ascoltare la messa. Il quartiere comprende da via Garibaldi fino a via XX settembre, passando per Caruscino. «Questa è una realtà in evoluzione», sottolinea don Adriano, «una comunità viva, anche grazie al grande lavoro dei vecchi parroci». I problemi non mancano, ma la povertà è il più preoccupante. Ma i poveri non sono più quelli di una volta, i barboni, gli emarginati, gli ubriaconi. Povere lo sono le famiglie normali, che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, perché la roba da mangiare costa troppo, perché lo stipendio per un cassaintegrato a volte c’è e a volte no, perché i soldi per un disoccupato che si dà da fare racimolandoli un po’ a destra e un po’ a sinistra non bastano mai. Per questo la parrocchia è un polo non solo per i giovani, ma anche per i “nuovi” poveri. «Ce ne sono tanti», afferma il parroco, «giovani, disoccupati, donne sulla quarantina che non sanno come portare avanti la famiglia. Al mio arrivo in parrocchia mi sono reso conto subito della situazione. Bussavano alla mia porta a tutte le ore del giorno. Per questo abbiamo riaperto la Caritas». Il prete racconta l’ultima trovata per aiutare i bisognosi: «mettiamo un carrello davanti ai supermercati aspettando che venga riempito grazie alla generosità dei clienti. Poi i prodotti raccolti vengono distribuiti a chi ne ha bisogno. Cerchiamo di pagare anche le bollette», spiega il sacerdote, «perché questi sono i problemi dei poveri di oggi». E poi c’è la missione evangelica, il cuore della Chiesa. La parrocchia ha avviato il “Corso di guarigione interiore”, una sorta di scuola di evangelizzazione dall’eloquente titolo “Brace ardente”, un modo per “rievangelizzare” i battezzati, affinché conoscano meglio e trasmettano a loro volta il Vangelo. Un’iniziativa vincente, visto che ogni giovedì sera partecipano oltre 250 persone, visto che la domenica in chiesa è necessario aggiungere le sedie.
Durante il terremoto del 1915 della chiesa di San Rocco rimase un cumulo di macerie. Furono sepolti tra le rovine il parroco, don Camillo Pentoli e il sagrestano, che stavano preparandosi alle funzioni. Nel 1942 monsignor Bagnoli eresse la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù in San Rocco, visto che il priore della confraternita non voleva rinunciare all’intitolazione al Santo. Incaricò poi i padri giuseppini di guidare la chiesa. I primi furono Giovanni Michetti, Agostino Carraretto e Francesco Apolloni. Nel 1953 i giuseppini andarono via e il vescovo nominò parroco don Costanzo Villa.
PARROCCHIA DELLA TRINITA’ (15 novembre 2007)
Non è più il quartiere degli anziani e degli agricoltori, come per anni è stato reputato. Oggi la zona del Cupello ha cambiato volto e non solo il futuro, ma anche il presente è rappresentato dai giovani. Il cuore dell’affollato rione, che conta 3.500 abitanti, è la parrocchia, guidata da don Ennio Tarola. La comunità è in continua crescita e i 120 posti a sedere nella chiesa non bastano. Il luogo di culto, infatti, è troppo piccolo per la popolazione.
Nel quartiere non ci sono luoghi di aggregazione, non c’è una piazza, una struttura sportiva, un campetto per i ragazzi. Non c’è nulla. «L’amministrazione», spiega il prete, «dovrebbe lavorare per valorizzarlo». Su un cartellone realizzato dai ragazzi dell’oratorio, affisso nella canonica, c’è scritto “abbiamo bisogno di spazi per far crescere la nostra parrocchia, ci aiuta signor sindaco?». L’oratorio è accampato in una struttura troppo stretta per far fronte alle esigenze di una realtà che diventa sempre più vasta. Anche il gruppo teatrale è costretto a mettere in scena gli spettacoli in una sala presa in prestito. «La proposta formativa che facciamo ai giovani», ha spiegato il parroco, «non è finalizzata solo ai sacramenti, ma è un cammino permanente, che va dal bambino di 4 anni fino ai giovani.
Oggi quella della Trinità è diventata la chiesa dei giovani. «Sono loro», sottolinea il prete, «a portare i genitori in parrocchia perché sono legati e innamorati alla parrocchia». Si punta molto sull’aggregazione dei ragazzi, il fatto è che di luoghi di aggregazione, anche in parrocchia, non ce ne sono. I problemi principali sono infatti l’assenza degli spazi di aggregazione. «Speriamo che qualcuno si ricordi di noi!», commenta il parroco.
PARROCCHIA DI SAN GIUSEPPE IN CARSUSCINO (24 novembre 2007)
La messa si dice in un vecchio pollaio, la canonica è un ex deposito di mangimi e i ragazzi si riuniscono in un container. E’ la situazione di Caruscino, quartiere alla periferia della città. Un luogo «dove non c’è nulla», come spiega don Beniamino Resta, che guida la parrocchia di San Giuseppe artigiano. Quello che non manca, però, è il calore della gente e la voglia di costruire insieme una nuova realtà.
E’ una struttura lunga e stretta, una sorta di corridoio interminabile che è stato progettato e realizzato dopo il terremoto dall’ente Fucino per l’allevamento di polli. Oggi è la chiesa di San Giuseppe, la parrocchia di Caruscino, fredda d’inverno e rovente d’estate. Dentro, però, si sente la presenza di Cristo, la comunione della gente che, a quella vecchia stia, tiene come se fosse una basilica. La casa canonica, invece, era un vecchio deposito di mangimi. «Quando arrivai in questo quartiere», racconta don Beniamino, di origini partenopee, «erano da poco iniziati i lavori per la nuova chiesa. I problemi non sono mancati ma i residenti si sono subito dimostrati disponibili a realizzare un sogno. Abbiamo risistemato e pulito quelle strutture, dipinto le pareti e reso accoglienti questi luoghi». La comunità di Caruscino sembra aver fatto proprio il passo del Vangelo di Matteo in cui Gesù assicura che «dove ci sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro», indipendentemente dal luogo. Ma il desiderio di costruire la nuova chiesa c’è. I lavori vanno avanti a rilento perché mancano i soldi. «Fino a oggi», racconta il parroco, «la Cee ha messo a disposizione per i lavori 500mila euro e 200mila la Curia. Per il resto andiamo avanti solo con i fondi che racimoliamo con le iniziative popolari, anche se la gente qui sta facendo sacrifici per costruire la propria casa nel quartiere che cresce. L’unico che ci ha dato una mano», aggiunge, «è stato l’onorevole Rodolfo De Laurentiis, che si è impegnato a farci pervenire cospicui finanziamenti dallo stato». Ma i soldi non bastano. Servono ancora 450mila euro. «Aspettiamo la Regione», si augura don Beniamino. Il problema, però, non è solo la chiesa. Nel quartiere non ci sono luoghi di aggregazione e il parroco vorrebbe realizzare delle strutture per i giovani. Per questo la parrocchia è in trattativa per l’acquisizione dei terreni intorno all’attuale chiesa. «C’è la necessità di recintarli», spiega il parroco, «perché sono invasi da siringhe e preservativi». I terreni di fatto sono già della parrocchia ma è in corso una trattativa con l’Arssa per il passaggio di proprietà. Nel 1992, infatti, furono ceduti al Comune senza atto e quindi ora serve l’ok del amministrazione. «Vogliamo fare un parco», afferma il sacerdote, «un campo sportivo, uno da tennis e da basket». Sarebbero gli unici luoghi di socializzazione tra i giovani. La parrocchia di Caruscino, nata nel maggio del 1976 quando c’erano solo 700 abitanti, oggi è piena di ragazzi. Si tratta di un territorio molto esteso e soltanto le famiglie adesso sono più di 600. Per i giovani è stato aperto, grazie all’interessamento del Comune che ha concesso il personale, un centro di aggregazione. E’ stato anche acquistato un container per realizzare una sala di intrattenimento. «La comunità si rinnova in continuazione», sottolinea il parroco, «la parrocchia si dà da fare per favorire sempre l’aggregazione dei nuovi arrivati».
La parrocchia è nata nel 1976 per far fronte alle esigenze di una periferia che già mostrava segni di veloce espansione. Inizialmente, in attesa di una chiesa nuova, furono adibiti a locali per le liturgie e a canonica un pollaio e un magazzino per mangimi di proprietà dell’ente Fucino. Purtroppo l’iter per la realizzazione della nuova chiesa non fu così semplice come si pensava. Oggi la struttura è stata innalzata in una zona centrale del quartiere ma ora servono ingenti somme per terminare i lavori e permettere di superare una difficile e delicata fase della parrocchia di San Giuseppe artigiano.
PARROCCHIA DI SAN SEBASTIANO IN PATERNO (1 dicembre 2007)
«Le case sono sparse, ma i cuori sono uniti». E’ questo il motto che rappresenta meglio la parrocchia e la frazione di Paterno. La chiesa di San Sebastiano, guidata da don Antonio Scalone, ha percorso negli ultimi anni un sentiero ripido, pieno di insidie a causa di un individualismo regnante, ma che oggi lo ha portato all’unità e all’aggregazione. E a fare da collante è stata la pietà popolare e la valorizzazione delle feste patronali.
L’intuizione di don Antonio, quella secondo cui la pietà popolare e le tradizioni religiose, sono un vero tesoro del popolo di Dio e manifestano una sete di fede che solo i semplici e i poveri possono conoscere, è stata sottile. Arrivato a Paterno 14 anni fa, si è trovato a fare i conti con un paese disgregato, soprattutto a causa delle caratteristiche urbanistiche della zona, dove ci sono molte case isolate. Ha però pensato subito che i momenti di aggregazione avrebbero potuto fare da collante perché rendono capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede. Direttore dell’istituto di Scienze religiose, il parroco di Paterno ha veramente compreso e fatto proprio l’orientamento del Direttorio sulla pietà popolare per il quale, «il fatto che i pii esercizi e le devozioni siano considerati facoltativi, non significa scarsa considerazione nei confronti di ciò che costituisce una ricchezza del popolo di Dio». Per don Antonio «sono stati fondamentali la valorizzazione e rinnovamento della pietà popolare e delle usanze religiose del paese». Dal suo arrivo in paese ha subito colto la necessità di unire le famiglie del quartiere. «Non era un paese aggregato», spiega il prete, «c’erano rivalità con la zona di Pietragrossa. Per contribuire in maniera determinante all’aggregazione sono ricorso anche alle tradizioni del paese». E così ha ricostruito le confraternite (del Santissimo rosario, di Sant’Onofrio e della Madonna) e ha valorizzato le feste patronali. Secondo don Antonio, in sostanza, queste tradizioni contengono autentici valori e possono favorire l’impegno di conversione nella vita dei fedeli. Ma nel suo tentativo di aggregazione degli abitanti di paterno non ha mai dimenticato che la valorizzazione della pietà popolare comporta anche, quando è il caso, la necessaria purificazione ed evangelizzazione. Oggi, rispetto al passato, la comunità della parrocchia di San Sebastiano è, secondo il sacerdote, «più aggregata rispetto al passato». Un’illusione, quindi, che col tempo è diventata realtà. Ma un altro sogno di don Antonio era quello di creare una struttura che potesse evitare a tanta gente di finire nella morsa degli “strozzini” facendo prestiti a chi le banche rifiutano finanziamenti. Un arduo obiettivo. Così dieci anni fa, dall’intuizione di un prete di periferia, rimasto profondamente scosso dalla tragedia di Pietrasecca, in cui persero la vita una mamma e tre figli che tenendosi per mano si gettarono dal noto viadotto autostradale a causa delle richieste vessatorie degli strozzini, nacque la “Fondazione antiusura Jubilaeum”. «All’inizio», racconta il parroco, «era un’associazione sconosciuta, nessuno ci voleva credere». Oggi è in tutto l’Abruzzo e finanzia fino a 40mila euro da restituire anche in 7 anni. La parrocchia adesso è diventata il fulcro della frazione e le divisioni del passato hanno lasciato spazio a una comunità unita e pronta alle nuove sfide del futuro.
Fu dieci anni fa che il parroco di Paterno pensò di andare incontro a quelle persone finite sul lastrico e senza nessuna speranza per il futuro. L’obiettivo era quello di costituire un’associazione di volontariato che impedisse loro di affidarsi a degli usurai. Allora era solo un sogno, oggi Jubilaeum, fondata da don Antonio Salone, conta sette sedi in tutto l’Abruzzo e aiuta centinaia di persone a evitare di finire nella morsa degli strozzini. La “Fondazione antiusura Jubilaeum”, nacque il 4 luglio 1997 con atto notarile firmato dai vescovi di Avezzano, L’Aquila e Sulmona. Il Fondo di garanzia ha esteso la propria competenza operativa sull’intera Regione attivando sezioni anche nelle diocesi di Chieti, Pescara e Lanciano, oltre alle vecchie sezioni di Avezzano, L’Aquila e Sulmona. «Non è rivolta a chi è sotto usura», sottolinea don Salone, «ma soprattutto previene tali fenomeni. Grazie a una convenzione con quattro banche e la costituzione di un fondo di garanzia, si evita a tanta gente di finire nella rete degli strozzini». Ha come scopo quello di facilitare, mediante garanzie reali, prestiti da banche convenzionate a favore di famiglie o di singoli individui che versano in difficoltà economiche e che tuttavia, per motivi di protesti cambiari o di altro genere, non possono accedere ai normali prestiti bancari.
Dopo il crollo del vecchio Paterno a causa del terremoto, il paese fu ricostruito per intero. Don Michele Addari si adoperò per costruire la nuova chiesa e il 6 novembre del 1938 fu consacrata. Dopo un anno il sacerdote morì e arrivò don Paolo Salomon. Oggi la chiesa è guidata da don Antonio Salone, arrivato 14 anni fa.
PARROCCHIA DI SAN PELINO (8 dicembre 2007)
Una parrocchia che cerca di restare unita, combattendo la freddezza di un quartiere che tende a divenire un dormitorio. La frazione di San Pelino è ancora una vera comunità ma il rischio è che con l’incremento della popolazione e l’arrivo di gente da fuori possa cambiarne il volto. Ma il sogno del parroco, don Simplicio Ciaccia, è quello di avvicinare i giovani e far sorgere l’Azione cattolica.
E’ un ibrido tra frazione e periferia. San Pelino, però, conta su importanti tradizioni e su una storia ricca di significato. «Quando arrivai nella parrocchia di San Michele Arcangelo», racconta il parroco che ha preso la guida della chiesa nel 2002, «percepii da parte della gente un senso di freddezza e distacco, ma col tempo mi sono accorto che era solo un’impressione sbagliata. Ben presto, infatti, cominciai a conoscere la grande generosità degli abitanti di San Pelino». Don Simplicio è di origini celanesi ed è conosciuto anche per essere un bravo musicista, compositore e direttore di cori. La sua missione di parroco è iniziata a Recanati, passando per Pescasseroli, fino ad arrivare ad Aielli, dove è rimasto per 28 anni. La chiesa di San Pelino, invece, è stata guidata dagli anni 50 da don Canzio Vacchiani, arrivato il 15 agosto del 1948 dall’Arcidiocesi di Udine e poi, dal 1969, da don Ennio Tarola, rimasto fino al 2002. La frazione di Avezzano, che in realtà ha il volto di un paese autonomo, conta 1850 abitanti. Ma il rischio è che col tempo diventi un quartiere dormitorio e che perda la sua caratteristica di comunità. Il paese, soprattutto negli ultimi anni, si è ingrandito lungo via Tiburtina, nella parte bassa. Il timore di don Simplicio è che non ci sia l’integrazione tra i nuovi abitanti della zona e la vecchia comunità. «Le persone che arrivano in paese», afferma il parroco, «continuano ad avere, dopo il trasferimento, reminiscenze del luogo di origine». Ma alla base di questa situazione, secondo il prete, c’è anche il problema della mancanza di un nuovo piano regolatore, che potrebbe rimettere ordine nella distribuzione delle nuove abitazioni. «Temo che in futuro», afferma preoccupato il sacerdote, «La zona bassa di San Pelino possa diventare un quartiere dormitorio». Per evitare che ciò accada il parroco ha avviato una serie di iniziative che coinvolgono tutto il territorio parrocchiale. Appena arrivato in paese fece subito un censimento per conoscere in dettaglio la realtà della frazione. Nella parte bassa non ci passava nessuno», spiega, «così ho a anche allungato la processione del Corpus Domini per coinvolgere tutti». Ma i problemi della parrocchia e della comunità non sono finiti. «Bisogna riavvicinare i giovani alla Chiesa», sostiene don Simplicio. E questo, in realtà, è il vero sogno del sacerdote, ma anche di tutta la comunità. Alcuni episodi di vandalismo, tempo fa, hanno comportato l’allontanamento di alcuni ragazzi difficili dalla canonica. Alcune stanze, infatti, erano state danneggiate. Questa situazione ha fatto soffrire molto il parroco che, però, è intenzionato a ricominciare tutto da capo e far riavvicinare tutti i ragazzi della frazione alla parrocchia. «Abbiamo iniziato tutto dai più piccoli», spiega, «e stiamo portando avanti il coro dei ragazzi. Ma l’obiettivo è costruire l’azione cattolica. Il futuro è nei giovani, e questo vale in modo particolare per le piccole realtà come San Pelino.
La chiesa di San Pelino è stata inaugurata negli anni ’50. Il primo parroco che guidò la comunità fu don Canzio Vacchiani, arrivato il 15 agosto del 1948 dall’Arcidiocesi di Udine. Allora la messa si celebrava in un baraccone che era stato allestito in modo da accogliere l’eucarestia. La chiesa fu costruita dopo diverse vicende burocratiche che ne rallentarono la realizzazione. Nel 69 arrivò don Ennio Tarola che diede vita a tante iniziative.
PARROCCHIA DI SAN GIACOMO E PANCRAZIO IN CASTELNUOVO (12 dicembre 2007)
Il paese si trova a un’altitudine di mille metri, i cellulari non prendono e la Rai non si vede. Ma a Castelnuovo, agglomerato di case di 200 abitanti a nord di Avezzano, la gente è accogliente, generosa e nonostante i problemi ha voglia di rivalsa e lavora ogni giorno per cambiare le cose che non vanno. La parrocchia di San Giacomo e San Pancrazio, guidata da don Pietro Asci, è il cuore pulsante della comunità.
Basta il suono delle campane azionate all’improvviso dal parroco, e nonostante sia già ora di pranzo, dopo pochi minuti ecco arrivare nella piazza antistante la chiesa numerosi residenti. Sono alcuni componenti delle confraternite, pronti a fare la foto per il giornale. Castelnuovo è così, un paese di gente spontanea, onesta e ospitale, che sorge tra il monte Velino ed il monte Castello, in un’affascinante cornice di boschi di olmi e verdi prati bagnati da limpidi ruscelli che scendono dalla montagna. «Sono qui da tre mesi», racconta don Pietro, parroco da 41 anni originario di Orona dei Marsi e insegnante di matematica e scienze in pensione dopo 34 anni di attività, «e appena sono arrivato ho trovato un paese con una mentalità coesa, persone cordiali, accoglienti e generose». Si tratta soprattutto di agricoltori, allevatori e artigiani. La frazione conta quasi duecento abitanti, ma in estate le presenze raddoppiano. Castelnuovo, però, deve fare i conti con lo spopolamento. «I ragazzi», spiega il nuovo parroco, «si laureano e vanno via. Ciò accade, nonostante il posto sia un angolo di paradiso, per la carenza di servizi». In paese, infatti, «non c’è niente», come spiegano con fervore alcune donne. Manca un campo sportivo, non c’è un luogo di ritrovo per i giovani. «Non vediamo neanche i canali della Rai», protestano gli abitanti, «e i cellulari non prendono. Noi protestiamo ma non serve a nulla perché tutti fanno scaricabarile, la situazione non cambia mai e i problemi sono sempre gli stessi. Il parroco, però, è convinto che qualcosa cambierà «perché qui le persone non mollano facilmente e la rassegnazione è una parola che non conoscono». «Un atteggiamento tenace lo hanno già dimostrato in passato», afferma, «quando per esempio hanno costruito dal nulla, solo grazie alla loro generosità, il santuario di Santa Lucia». Si tratta di una chiesetta a due chilometri la paese edificata nel 1968. Ogni anno, il 13 dicembre, i fedeli si recano in pellegrinaggio al santuario. La Santa in origine si venerava in una piccola grotta poco distante dove fu costruita la prima chiesetta più volte distrutta e abbandonata dopo il furto di una statua lignea di Santa Lucia risalente al XIV secolo. Fu don Loreto Campora a impegnarsi per la ricostruzione. Il santuario fu inaugurato a settembre del 1968 dal vescovo monsignor Domenico Valerii. Castelnuovo, inoltre, fu rifugio di guerra durante il secondo conflitto mondiale per il vescovo monsignor Bagnoli.
Oggi il parroco è convinto che il rilancio del paese è vicino. «La gente è molto unita», spiega, «e i segnali di una ripresa ci sono tutti». Il paese è sede di un centro ippico dove ogni giorno si svolgono escursioni a cavallo tra i caratteristici monti limitrofi. Le nuove generazioni, poi, nonostante la tendenza allo spopolamento, sembrano ancora legate al paese e il fatto che a Castelnuovo ci sia un complesso bandistico composto soprattutto da giovani è un segnale chiaro e che fa ben sperare.
L’origine del paese risale all’epoca dell’incastellamento. Dopo la caduta dell’Impero Romano, quando i contadini per secoli erano vissuti in pace nei casolari in pianura, cominciarono ad avvertire la minaccia della guerra e salirono a monte. L’attuale agglomerato si sviluppò dopo il 1500 con la costruzione della chiesa di San Giacomo Apostolo, per opera dall’abate Blasetti. La chiesa fu distrutta dal terremoto del 1915 e negli anni seguenti furono costruite le casette asismiche. Nel 1938 don Biagio Saturnini iniziò l’edificazione della nuova chiesa di San Giacomo e San Pancrazio. La spesa fu di 140.000 lire in parte finanziate dallo stato e in parte dalla gente. L’inaugurazione ci fu ad agosto del 1941.
PARROCCHIA DI SANTA CROCE IN ANTROSANO (22 dicembre 2007)
Una chiesa dove non esistono offerte, non ci sono sagrestani né perpetue, guidata da un parroco dichiaratamente anticlericale. Non è una provocazione, un’invenzione, ma si tratta della parrocchia di Santa Croce ad Antrosano. E’ guidata da don Aldo Antonelli che si ispira solo al Vangelo e mira soprattutto all’aggregazione, al sociale e alla solidarietà per i popoli più poveri.
«Sono arrivato ad Antrosano, la piccola frazione di Avezzano, nel 1988», racconta don Aldo, originario di Villa San Sebastiano di Tagliacozzo, «il paese contava 400 abitanti. «Mi resi subito conto che il compito della parrocchia era di fare in modo il paese non diventasse un dormitorio, né una periferia, ma restasse una comunità nella quale ci si integra, ci si accetta». E questa missione, sempre attuale e che si rinnova in continuazione visto l’incremento costante della popolazione, fino a oggi è stata portata a termine. Non Aldo, che non ha peli sulla lingua, si dice contrario alla chiesa vista come «un’agenzia di spaccio di sacramenti». «Il punto è la comunità», spiega, «farla crescere, insieme». E tutto si fa, appunto, insieme. Anche le questioni che riguardano le spese della chiesa e la raccolta del denaro che serve per portare avanti l’evangelizzazione. «Qui non ci sono né perpetue, né sagrestani», afferma don Aldo, «ma dei gruppi che si alternano nei servizi». Non ci sono, in sostanza, «né padroni, né servi». Il parroco contesta quello stretto rapporto che, secondo il suo parere, si sarebbe creato nella Chiesa cattolica tra il servizio ecclesiastico e il pagamento in denaro delle prestazioni. E’ ovvio, comunque, che bisogna sempre valutare lo spirito con cui le offerte vengono fatte e quello con cui vengono accettate. Ma secondo il sacerdote marsicano, l’accostamento tra sacramento e soldi è comunque «dissacratorio». Per spiegare il concetto don Aldo racconta una situazione a cui a dovette far fronte quando arrivò tra la comunità di Antrosano. «Quando cominciai a dire messa in paese non chiedevo nulla per le intercessioni ai defunti, come avviene comunemente. Gli anziani cominciarono a quel punto a pensare che quelle celebrazioni non avessero valore». Ragionavano secondo l’antico detto “messa pagata in cielo andata”. E se la messa non veniva pagata, quindi, per molta gente era priva di significato. «Cominciarono ad andare in chiesa a Cappelle», racconta ancora il prete, «credevano che la mia messa gratis non fosse buona». E quindi come va avanti la parrocchia di Antrosano? «I soldi», chiarisce il parroco, «li gestisce la commissione economica e i risultati si vedono. Qui davanti alla chiesa c’era una discarica», continua, «ora è una piazza accogliente, un luogo di ritrovo, e gran parte dei lavori li abbiamo pagati noi». Ma la situazione non è tutta rose e fiori. «Purtroppo ci sono difficoltà oggettive per i nuovi arrivati, che lavorano fuori e il weekend tornano nei luoghi di origine. Ogni anno noi accogliamo i nuovi con una festa in paese perché la comunità non si chiuda in sé e non diventi un clan narcisista». E poi c’è l’apertura al Terzo mondo. «Abbiamo inviato 120mila euro a una parrocchia di periferia in Guatemala dove la violenza infantile é devastante. Diciamo no a una comunità chiusa tra gli steccati di religiosità e sacralità, a una comunità clericale, ma siamo per una comunità evangelica che sa vivere nel mondo».
Don Aldo non è un prete come tutti gli altri. Non può esserlo uno che nel 2005 disse no ai «programmi voltastomaco» decidendo di sigillare il televisore e non pagare più il canone Rai. Un sacerdote, protagonista in passato di battaglie per i diritti civili, come per il referendum del giugno 2005 sulla fecondazione assistita, quando votò quattro sì contro i vertici ecclesiastici. O ancora quando nel 2006 rinviò al mittente, Forza Italia, l’opuscolo che si rivolgeva ai preti cattolici. O più recentemente quando ha contestato Papa Benedetto XVI, per l’appello ai farmacisti cattolici all’obiezione di coscienza in caso di fornire medicine «che abbiano scopi chiaramente immorali, come ad esempio l’eutanasia e l’aborto». E poi le battaglie in favore del divorzio o contro le guerre in Iraq e nei Balcani, o la clamorosa «correzione» del pensiero espresso dal cardinale Ruini sull’aborto…
La parrocchia di Santa Croce ad Antrosano è nata nel ‘700, mentre la chiesa dell’immacolata che si trova all’entrata della fazione è più moderna ed è stata inaugurata nel 1990.
PARROCCHIA DI SAN PIETRO A TAGLIACOZZO (29 dicembre 2007)
L’affascinante viaggio nelle parrocchie della Marsica si sposta da Avezzano nella storica cittadina turistica di Tagliacozzo. Quella di “Alto la terra”, oltre ad essere la parrocchia dove lavorò per tanti anni don Gaetano Tantalo, prossimo alla beatificazione, è una delle parrocchie più antiche del territorio e rappresenta l’origine della città. I problemi a cui deve far fronte la zona antica di Tagliacozzo sono quelli dello spopolamento e dell’isolamento. Negli ultimi trent’anni, infatti, i residenti hanno abbandonato le vecchie e caratteristiche abitazioni del paese vecchio e si sono riversati a valle e nella piazza dove le nuove strutture abitative possono garantire maggiore confort. ora il pericolo è che la zona, ricca di affascinanti scorci paesaggistici, diventi un quartiere fantasma e abbandonato a se stesso. Per tale motivo i residenti sperano che parti un’azione di riqualificazione della zona e che vengano attivate iniziative che valorizzino le invidiabili caratteristiche architettoniche e culturali della zona.
Solo trent’anni fa la popolazione era quattro volte più numerosa e le parrocchie erano tre. Oggi la vecchia zona di “Alto la terra”, una volta cuore pulsante della città, conta solo 238 abitanti e va incontro allo spopolamento totale. Le tre comunità religiose si sono fuse in un’unica parrocchia, quella di San Pietro, dove ha svolto per molti anni il suo ministero sacerdotale il venerabile don Gaetano Tantalo.
Risalendo i vicoli di Tagliacozzo vecchia, che trasudano storia in ogni angolo, si passa inevitabilmente davanti alla chiesa di San Pietro. L’atmosfera, a quel punto, si fa subito diversa e coinvolgente, non solo per l’epigrafe che indica, sul lato sinistro della chiesa, la casa canonica, proprio quella dove ha vissuto don Gaetano Tantalo. Ma a rapire l’attenzione è il clima di essenzialità e quiete che le pareti di quei vecchi edifici emanano. Il coinvolgimento maggiore, però, arriva una volta entrati all’interno della chiesa e poi nella piccola cameretta dove dormiva e pregava il prete di Villavallelonga. L’ambiente umile di quella casa sembra rimasto congelato a sessanta anni fa, a quel 13 novembre 1947, quando don Gaetano, a soli 42 anni, morì sfinito dalla malattia e dalle penitenze a cui si sottoponeva. Una finestrella collega la camera da letto alla chiesa. Davanti alla fenditura, che punta dritta al tabernacolo posto di fronte all’altare, c’è un inginocchiatoio. Lì pregava don Gaetano Tantalo, fissando dall’interno della sua cameretta l’Eucaristia in chiesa. Oggi il parroco della zona più antica della città è don Aldo De Angelis. Nessuno come lui conosce la realtà di Tagliacozzo alta. Il suo arrivo nel quartiere risale al 1970, quando fu nominato parroco di San Nicola. Allora le parrocchie erano tre, comprese quella di San Pietro e di Sant’Antonio. «Gli abitanti erano 950», racconta, «e trecento i fedeli della parrocchia di San Pietro. Poi, con il passare degli anni, la nuove famiglie si sono trasferte nella zona bassa. Un terzo della popolazione della piazza, infatti, è di Alto la terra». Le piccole abitazioni della zona non potevano far fronte alle esigenze dei nuovi nuclei famigliari, e così l’unica possibilità era quella di scendere a valle. Ma un altro fenomeno che ha portato allo spopolamento è stato quello dell’emigrazione. Ben venti famiglie sono finite negli Stati Uniti d’America, sette in Australia, e molte anche a Roma. Nel 1980 a don Aldo fu affidato il delicato compito di fare il parroco della chiesa di San Pietro, la parrocchia di don Gaetano. In seguito ha dovuto accollarsi anche la responsabilità di vice postulatore per la causa di canonizzazione del “servo di Dio”. «La zona molto disagiata», spiega don Aldo, «la popolazione pensionata e le difficoltà, specie in inverno, non mancano». Le famiglie giovani sono appena cinque e tre quelle di cittadini stranieri. Con umiltà e perseveranza don Aldo è sempre vicino a una comunità che fatica conservare la propria identità, nonostante abbia alle spalle secoli di storia. «E’ importante», sottolinea don Aldo, «il rapporto diretto, personale con le famiglie, con i singoli, far sentire una presenza consolante e di speranza, trasmettere alla gente il messaggio che Dio non abbandona mai nessuno». Oggi il rischio è che quei fantastici scorci paesaggistici lascino il posto a case vecchie e abbandonate. I residenti sono convinti che non andrà così e sperano in interventi e iniziative che valorizzino le invidiabili caratteristiche architettoniche e culturali della zona.
Proprio nella parrocchia di San Pietro, dal 1939 fino alla morte, avvenuta dieci anni dopo, tra la gente di Tagliacozzo, fu parroco una delle figure più incredibili e significative della Chiesa marsicana: don Gaetano Tantalo. Ora il suo processo di beatificazione e quindi di canonizzazione è alle battute finali e i fedeli attendono da un momento all’altro la storica proclamazione. E’ stato infatti presentato lo studio sul presunto miracolo che servirà ai fini della decisione.
«La Diocesi di Avezzano», ha sottolineato don Aldo De Angelis, vice postulatore della causa, «ha presentato ad aprile del 2006 lo studio sul presunto miracolo ad un giovane. Non avendo ricevuto notizie negative fino a oggi si presume che il processo stia andando avanti e la comunità è in attesa dell’evento di beatificazione». Ma sono centinaia gli aneddoti e gli episodi straordinari della vita di don Gaetano che, per tanti anni, come parroco della chiesa tagliacozzana, ha dispensato segni di santità, abnegazione e amore per il prossimo. Don Gaetano Tantalo nacque a Villavallelonga il 3 febbraio 1905. La sua vita fu caratterizzata da carità e dedizione al prossimo. Ma già da alcuni episodi, che accaddero nei primi anni della sua vita, emerse con chiarezza la “singolarità” di quel bambino. Intorno ai 6 anni cadde in una fossa di calce viva uscendone inspiegabilmente incolume, senza neanche un’ustione. Il 13 febbraio 1915, invece, finì sotto le macerie della sua scuola a Villavallelonga per il terremoto. Rimase ferito alla testa e gli occhi gli uscirono fuori dalle orbite. “Una pietra”, raccontò più tardi al suo amico monsignor Palmerini, “mi cadde sul viso, e il colpo fu talmente forte che mi fece uscire gli occhi dall’orbita. Ricordo che la nonna me li pulì col ‘zinale’ e io stesso li presi con la mano e li rimisi a posto”. Nel 1930 divenne sacerdote e dopo sei anni fu nominato prima parroco di Antrosano e poi della parrocchia di San Pietro Apostolo a Tagliacozzo, dove rimane fino alla morte. Intorno al ’40 don Gaetano ospitò una famiglia di ebrei fuggita da Roma per le leggi razziali. Nel 1943, invece, si offrì come ostaggio volontario ai tedeschi che volevano fare una retata per punire gli abitanti di Villavallelonga accusati di far parte della resistenza. Grazie al suo spirito di carità verso il prossimo Don Gaetano considerava fratelli tanto i cattolici quanto gli ebrei o i protestanti. Un amore non solo dedito ai bisogni spirituali ma anche alla povertà materiale dei fratelli e della gente che incontra sul suo cammino. Il “servo di Dio”, don Gaetano, morì a Tagliacozzo il 13 novembre 1947, a soli 42 anni, a causa dei malanni che le penitenze gli avevano procurato col tempo. Le sue spoglie, inumate nel cimitero di Villavallelonga, furono esumate nel ’58 e trasferite nella cappella di famiglia. La Sacra Congregazione per le cause dei Santi, con lettera autografa del suo prefetto, il cardinale Corrado Bafile, il 13 giugno 1980 ne autorizzò la ricognizione e il trasferimento nella chiesa parrocchiale, dove riposano. A gennaio del 1981, il vescovo Terrinoni introdusse il processo cognizionale sulla vita e le virtù del servo di Dio. E’ stato dichiarato venerabile dal papa il 6 aprile 1995 per le sue virtù cristiane vissute in forma eroica e il suo nome è posto ai piedi di un albero sul “Viale dei Giusti” a Gerusalemme.
A portare alto il nome di don Gaetano esiste dal 2001 un’associazione culturale e religiosa che si ispira ai valori del “servo di Dio”. La guida spirituale è il parroco don Aldo De Angelis ed è presieduta da Antonio Poggiogalle. «Il suo scopo prioritario», spiega il presidente, «è quello di contribuire alla realizzazione della beatificazione del venerabile don Gaetano, la più grande figura umana e religiosa del secolo scorso nella Marsica e non solo, proclamato Santo dal popolo già in vita». L’associazione ogni anno bandisce una borsa di studio per sensibilizzare i giovani ai valori della solidarietà, della tolleranza, dell’uguaglianza, dell’accoglienza e dell’amore verso gli ultimi, di cui don Gaetano fu vero testimone e apostolo infaticabile. In seno all’associazione opera una compagnia teatrale che ogni anno devolve fondi in beneficienza in Burkina Faso e nella Marsica. L’associazione ha ristrutturato sei anni fa, per realizzarvi la sede, le vecchie scuole elementari di Alto la terra concesse dal Comune al parroco. Importante l’apporto lavorativo di alcuni soci: Renato Amicucci, Giuseppe Attili, Dino Canattari, Pierino Del Treste, Pasquale Marini, Giuseppe Poggigalle, Nicola Torturo, Maurizio Venni. Importante l’impegno del vicepresidente Carlo De Angelis che ha portato le iscrizioni a quota novanta. Nella sede c’è anche una biblioteca e computer a disposizione dei giovani.
Le chiese di Alto la terra sono sei: San Pietro, San Nicola di Bari e Sant’Egidio (che hanno il titolo parrocchie), Sant’Antonio Abate, Maria Santissima del soccorso e chiesa del Calvario. La maggior parte di loro risale al XII secolo. San Pietro, citata solo nella bolla del 1188, andò in fiamme nel 1860 e gran parte della documentazione relativa ai parroci andò perduta. Sant’Egidio è citata in una bolla di Clemente III del 1188, ma non ci sono certezze sulla veridicità del documento. Anche la chiesa di San Nicola è citato in quella stessa bolla. Un’altra teoria, però, ritiene che possa essere identificata con la citazione nella olla di Pasquale II del 1115. La data 1074 sul ceppo della campana potrebbe sciogliere però il dilemma sulla nascita dell’edificio. Ci sono poi la chiesa di Sant’Antonio Abate che dovrebbe risalire alla prima meta del ‘400, come emerge dall’iscrizione sull’architrave del portale, e la caratteristica chiesetta del Calvario, che sorge su un sorge su un pendio di monte Civita, nelle vicinanze di via Valeria. Fu realizzata nel 1702 per interessamento del terziario benedettino ed eremita del Santuario dell’Oriente, Angelo Santariga. Un discorso a parte merita la chiesa di Maria santissima del soccorso, che dovrebbe essere una delle più antiche costruzioni della città. La prima citazione è solo nella bolla di papa Pasquale II del 25 febbraio 1115. La domenica la messa si tiene alle 10 a San Nicola e l’ultima domenica del mese a San Pietro. A Natale la messa, come da tradizione, è a San Nicola, a Pasqua a San Pietro e a ferragosto al Soccorso.
Gli ultimi parrochi delle parrocchie di Alto la terra sono stati don Olindo e don Raffaele nella chiesa di Sant’Egidio, don Alfonso nella chiesa di San Nicola e don Gaetano nella chiesa di San Pietro. Successivamente don Nicola Pietropaolo prese l’impegno pastorale anche della parrocchia di Sant’Egidio e a lui è subentrato don Aldo de Angelis nel 1969.
La chiesa del Soccorso sarebbe il cuore delle prime e originarie abitazioni di Tagliacozzo. In origine si chiamava Santa Maria in Furca, perché immersa nell’avvallamento (Forca) tra i monti Civita e Arunzo, Secondo alcune accreditate teorie degli storici, avrebbe fatto da “soccorso”, appunto, a chi percorreva la via Valeria. La chiesa è citata in una bolla, quella di papa Pasquale II, solo nel 25 febbraio 1115. Secondo una delle numerose ipotesi sull’edificazione della chiesa di Maria santissima del Soccorso, la struttura sarebbe stata fatta costruire da Carlo d’Angiò, in ringraziamento alla Madonna per la vittoria su Corradino di Svevia. Ma secondo teorie più accreditate, la chiesa risalirebbe a un’epoca molto più antica. Poco probabile anche l’ipotesi secondo la quale la chiesa, già esistente, sia stata solo dedicata al sovrano francese.
PARROCCHIA DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA A TAGLIACOZZO (5 gennaio 2008)
E’ la parrocchia più grande della città con 3.500 abitanti, la chiesa che rispecchia l’identità e la cultura della popolazione, un luogo aperto a tutti, ai poveri, agli emarginati, ma anche ai giovani e alle famiglie. L'”Annunziata” è un punto di riferimento per gran parte di cittadini, ma il rischio è quello della disgregazione. Il territorio esteso e la divisione tra centro e “Giorgina” impediscono una vera aggregazione.
A guidare la comunità religiosa della Santissima Annunziata è don Bruno Innocenti arrivato in città sette anni fa. «E’ una realtà sociale vivace e frastagliata», spiega il parroco, «una parrocchia quasi divisa in due, spaccata dalla Variante Tiburtina, con la parte storica e quella più nuova della Giorgina». Da un lato, infatti, c’è il cuore della cittadina, affiancato dalle zone residenziali. Dall’altro una realtà nuova «poco tagliacozzana», come spiega don Bruno. E poi c’è il fenomeno dell’immigrazione, con la presenza di comunità albanesi, bielorusse, polacche e rumene. «Nel 2007», racconta il parroco, «abbiamo celebrato a Pasqua dieci battesimi ad adulti stranieri». Per il sacerdote «traspare un po’ di lontananza e isolamento, la parrocchia spesso viene vista come una stazione di servizio e non come una comunità unita». Per questo ora l’obiettivo, secondo don Bruno, «è quello di aggregare le varie componenti della società, anche con l’attivazione di servizi sociali». E poi c’è la povertà, una fenomeno sommerso a Tagliacozzo, ma reale e preoccupante secondo quanto emerge dai dati della Caritas locale. «C’è una grossa fascia sociale di persone in difficoltà», spiega il parroco. Qui entra in gioco la solidarietà e la parrocchia cerca di assistere questa gente anche con generi alimentari, libri scolastici per i bambini e bollette di luce e gas. Perché i problemi oggi sono questi. La povertà non è più quella di una volta, degli emarginati, di quelle persone escluse dalla società. Ora i problemi li hanno le famiglie, quelle “normali”, dove in casa lavora una sola persona e magari in modo precario, quelle con più di un figlio a carico che non riescono ad arrivare alla fine del mese con uno stipendio che è sotto i mille euro. Non mancano poi i problemi di droga in città. E anche in questo caso si tratta di una problematica latente ma pericolosa. C’è poi il problema degli anziani lasciati soli. «C’è una grossa fetta di popolazione anziana», spiega, «che ha bisogno di affetto e amicizia». Ma per una città ricca di storia come Tagliacozzo, il parroco spera in una rivitalizzazione dei settori culturali. «Bisogna alzare il tiro dell’offerta culturale», sottolinea, «perché, nonostante le iniziative, se stringi non c’è poi molto». Uno dei settori da rilanciare potrebbe essere quello del “turismo religioso”, ad esempio grazie al Volto santo, a don Gaetano Tantalo, a Tommaso da Celano, al convento di San Francesco e al santuario dell’Oriente. Davanti al cammino della comunità religiosa della parrocchia oggi c’è un futuro luminoso fatto di speranza, di zelo e fervore. Dopo le ferite che hanno lacerato la parrocchia durante il tumulto avvenuto in piazza per il trasferimento dell’ex parroco don Antonio Ruscitti e l’insediamento di don Bruno, la comunità ha voltato pagina. La recente assoluzione delle undici persone indagate per quei fatti non ha solo un valore giudiziario, ma anche un significato spirituale e profetico. Annuncia e auspica una nuova storia, diversa, per la Chiesa di Tagliacozzo.
Le attività della parrocchia si barcamenano tra impegno pastorale e liturgico, accoglienza e solidarietà. Le iniziative sono molteplici, soprattutto per quanto riguarda i giovani. Ma un impegno importante della parrocchia è legato anche alla missione in Panama contro la piaga dell’Aids, guidata da un religioso tagliacozzano, padre Vincenzo Morgante. L’attività di catechismo impegna ben 22 persone: Maria Bartoli, Margherita Bevilacqua, Cinzia De Luca, Luisa De Luca, Maria Teresa Del Grosso, Luciana Gagliardi, Marina Gucci, Rosella Iacomini, Anna Maria Liberati, Patrizia Luciani, Manuela Marletta, Enrica Medici, Rosella Morgante, Marida Pasquali, Mara Polinari, Rosina Pozzi, Maria Ronchetti, Marina Rubeo, Erasma Tabacco, Nives Valentini, suor Ida e suor Raffaella. Intensa l’attività anche del coro liturgico che ha rinnovato tutto il repertorio dei canti in armonia con le direttive nazionali del canto sacro. Recentemente ha tenuto un concerto a Natale. E’ diretto da Luca Bischetti e Antonello Corradetti, che ha appena iniziato un cammino religioso. La scorsa estate è nato in parrocchia un oratorio intitolato a don Gaetano Tantalo. Ospita trenta bambini al giorno per la formazione spirituale e per la collaborazione liturgica. E’ guidato da Margherita Bevilacqua e Manuela Marletta. Viene pubblicato anche un foglio informativo mensile. Intensa anche l’attività della Caritas che assiste i poveri della città. L’associazione è guidata da Roberto Giovagnorio e Fabrizio Lollobrigida. Fanno parte della parrocchia anche le suore della Carità, ordine fondato da San Giovanna Antida, che gestiscono la scuola dell’infanzia di cui sono responsabili suor Assunta e suor Felicetta. Svolgono la loro attività anche in parrocchia il gruppo Padre Pio e la Conferenza di San Vincenzo. Sono numerosi, invece, le iniziative di formazione e di preghiera. C’è la formazione permanente per adulti il giovedì sera svolta dal parroco, il corso di preparazione al matrimonio a livello di forania, l’adorazione eucaristica mensile. Sono ospiti dei locali della parrocchia, inoltre, il complesso bandistico, il coro Venturini e l’Avo (Assistenza volontari ospedalieri). La parrocchia dell'”Annunziata” porta avanti, inoltre, iniziative di raccolta fondi per sostenere una missione in Panama, guidata da padre Vincenzo Morgante, l’ultimo sacerdote tagliacozzano oltre al neoordinato don Ennio Grossi, viceparroco della chiesa dello Spirito Santo ad Avezzano e prossimo a guidare una parrocchia marsicana. La fraternità “Piccola famiglia di Maria” svolge nell’America del Sud l’apostolato per i malati terminali di Aids nel rifugio di Maria, nella diocesi di Colombo-Kuna Yala. L'”Ostello della Gioventù di Maria” è un’opera di misericordia umanitaria promossa dalla Chiesa cattolica in Columbus e gestita dalla famiglia “Piccola Fraternità di Maria”. E’ riservata ai ragazzi e neonati portatori di Hiv o affetti da Aids, che sono rifiutati dalla società e le loro famiglie non hanno i mezzi e le possibilità di assisterli. Per andare incontro alle esigenze dei numerosi bambini infettati dal terribile virus, con un’ipoteca, è stata acquistata una struttura accanto all’ostello della gioventù, al fine di ricevere i bimbi malati e fornire loro assistenza medica, umanitaria e soprattutto affetto. Ci sono bambini che sono stati abbandonati dai genitori. Molte famiglie, invece, non hanno le strutture per viaggiare dai paesi fino alla città per ricevere un trattamento adeguato e per questo si rivolgono alla missione. Per informazioni e donazioni si può visitare il sito internet www.alberguedemaria.com, o rivolgersi alla parrocchia.
a chiesa risale alla fine del 1500. In origine i locali comprendevano una sorta di cappella e un piccolo ospedale gestito dalla Confraternita dell’Annunziata. La struttura sanitaria era poco utilizzata perché i cittadini avevano a disposizione altri due ospedali più grandi. La confraternita chiese l’intervento dei Domenicani, che nel 1584 si insediarono nella chiesa. La struttura, oltre a essere piccola, aveva problemi strutturali. Così decisero di demolirla per ricostruire una chiesa nuova. Secondo alcuni storici, come portale d’ingresso fu utilizzato quello della vecchia chiesa di San Giovanni Battista, fondata da Roberto Orsini nel 1475 nell’aperta campagna verso Colle San Giacomo. Con la soppressione del 1809 i Domenicani abbandonarono il convento e il fabbricato divenne proprietà demaniale. Intorno al 1930 alcuni locali vennero adibiti a uffici comunali, mentre il chiostro e l’orto annessi passarono nelle mani di privati. Le cappelle furono decorate tra il ‘600 e la prima meta del ‘700. La chiesa della Santissima Annunziata fu interessata da altri interventi nella seconda metà dell”800, come il pavimento a mosaico con motivi geometrici nel 1869 e la decorazione delle pareti in stucco dipinto. Prima di don Bruno è stato parroco dell’Annunziata per ben 26 anni don Antonio Ruscitti, subentrato a don Nello De Luca: Prima di lui il parroco fu don Giulio Lucidi, fondatore della parrocchia nel 1946. Le messe si svolgono nei giorni feritali alle 17, e in quelli festivi alle 9 e alle 17. Nei periodi di grande affluenza turistica c’è anche la messa delle 12.
CHIESA E CONVENTO DI SAN FRANCESCO A TAGLIACOZZO (12 gennaio 2008)
E’ la chiesa dei giovani, il cuore della pastorale giovanile regionale, un angolo d’Abruzzo dove i ragazzi possono ricercare il proprio posto nella vita secondo il disegno di Dio. Ma è anche la chiesa dell’accoglienza ai poveri e ai bisognosi e del servizio alle comunità religiose della zona, come monache e suore. Tutto questo sono la chiesa e il convento di San Francesco.
La comunità dei frati minori conventuali è guidata da padre Antonio Iosue, guardiano del convento di Tagliacozzo dal 2000. «Quando sono arrivato a Tagliacozzo», racconta padre Antonio, «abbiamo iniziato a lavorare subito per la pastorale giovanile trasferendo le attività che si svolgevano da anni a Civitella del Tronto». Nel 2000, infatti, sono stati ristrutturati i locali per l’accoglienza nell’altra ala del convento ed è stata predisposta una moderna struttura in grado di ospitare i corsi e gli incontri. «Abbiamo continuato i diversi itinerari di formazione», spiega padre Antonio, «come la scuola di preghiera per l’Abruzzo e anche per qualche gruppo delle Marche. La scuola di preghiera si propone di aiutare a verificare e ad approfondire l’incontro con il Signore, lasciandosi interpellare da lui, per seguirlo sulla via dell’amore, nella chiamata e nella missione personale. «Gli incontri», sottolinea padre Antonio, «si svolgono una domenica al mese. Si inizia con la celebrazione delle lodi (con catechesi sulla preghiera). Segue un’ora di preghiera silenziosa comunitaria sul tema del giorno seguita dal pranzo. Nel pomeriggio c’è il giro di esperienze, cuore del cammino, che aiuta nel discernimento personale e in conclusione la celebrazione dell’eucaristia». Questo tipo di cammino richiede da ciascuno, ogni giorno, un tempo di preghiera personale fisso. Si inizia con un quarto d’ora, per giungere a mezz’ora o più, secondo le modalità suggerite ogni mese. In ogni incontro viene consegnato un sussidio con la sintesi della catechesi, la pratica per la preghiera personale e alcuni testi di approfondimento. L’anno si conclude, per ognuno dei gruppi, con un campo estivo (dal mercoledì alla domenica) nel quale si affrontano temi specifici inerenti al cammino compiuto, si prega insieme, si vive la fraternità nella condivisione. Poi a San Francesco si svolgono corsi vocazionali, non solo legati alla vita consacrata, ma anche per i fidanzati e le giovani coppie. Si tratta di itinerari che durano anche nove anni, come quello della scuola di preghiera. Negli incontri vocazionali, attraverso momenti di preghiera, di riflessione, di confronto e di amicizia si cerca di scoprire il volto della missione che Dio vuole affidare a ciascuno per la propria vita. «Tra i frutti del cammino di discernimento vocazionale», aggiunge il frate, «ci sono stati due giovani di Tagliacozzo, Pietro Cerri e Maria Agnese Del Treste, che hanno scelto la vita religiosa». Erano decenni che a Tagliacozzo non c’erano vocazioni. Oltre alle attività proprie della provincia abruzzese dei conventuali, i frati hanno dato vita a numerose iniziative di integrazione con il territorio. «Abbiamo iniziato a conoscere la gente», afferma padre Antonio, «i fedeli e le realtà locali». Il futuro di San Francesco non può essere altro che quello di continuare sulla strada del centro di pastorale giovanile e vocazionale visto che le caratteristiche strutturali, la posizione all’interno del paese, e la possibilità di piccoli itinerari di fede ne fanno un luogo ideale per il cammino di fede dei giovani.
La chiesa di San Francesco, oltre ad essere proprietà del prestigioso patrimonio del Fec /Fondo edifici di culto del ministero dell’Interno) e ad essere stata visitata nel 2004 dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, è famosa in tutto il mondo perché ospita le spoglie di Tommaso da Celano, il primo biografo di San Francesco d’Assisi, e autore del Dies Irae.
Tommaso da Celano, nato intorno al 1200 e morto a Val dei Varri nel 1270 circa, è celebre per essere considerato il probabile autore dell’inno Dies irae e per aver composto due vitae di san Francesco d’Assisi, una vita di santa Chiara e almeno due lodi del Poverello. Ma il frate francescano di Celano è venerato come “beato vox populi” in tutto il mondo. Fu uno dei primi discepoli del santo di Assisi, entrando nell’Ordine francescano attorno al 1215. Nel 1221 fu mandato in Germania con Cesario di Spira per promuovervi il nuovo ordine, e nel 1223 fu nominato “custode unico” (custos unicus) della Provincia renana dell’ordine, che includeva Colonia, Magonza, Worms, e Spira. Dopo un paio d’anni tornò in Italia, dove sembra sia rimasto fino alla sua morte, forse con brevi ambasciate in Germania. Nel 1260 divenne direttore spirituale di un convento di Clarisse a Tagliacozzo, dove morì. Fu sepolto prima nella chiesa di San Giovanni a Val dei Varri annessa al monastero ma poi le sue spoglie furono trasferite e oggi sono custodite nella chiesa di San Francesco a Tagliacozzo. A ottobre del 2005 è stata pubblicata la prima edizione della “Positio” di Tommaso da Celano. Si è trattato di un passo importante per la cultura, la religione e la storia della Marsica e non solo. Il volume è stato presentato per la prima volta nel corso di un convegno su “Tommaso da Celano nelle fonti medievali dei secoli XIII-XV” e si è trattato della fase conclusiva del progetto “Uomini e popoli tra guerra e pace” del Gal Marsica. Cristoforo Bove, relatore della congregazione delle cause dei Santi, Ordinario di Storia Medievale della Facoltà di Teologia “San Bonaventura”, durante il convegno ha parlato della tipologia della santità di Tommaso da Celano nelle fonti medievali minoritiche. Fra’ Angelo Paleri, postulatore generale dell’ordine dei frati minori ha fatto un breve excursus storico e sulla situazione attuale sulla Positio. Dal convegno, però, è emerso che le possibilità di beatificazione e canonizzazione di fra’ Tommaso sono molto residue, anche se è già Santo a furor di popolo. Ogni anno arrivano gruppi da tutto il mondo, soprattutto dai frati minori degli Sati Uniti, per pregare sulla tomba di Tommaso da Celano. L’obiettivo del convegno, comunque, era quello di riportare sotto i riflettori l’opera e la vita di Tommaso da Celano e, successivamente la “Vita del beato Francesco”, definita la più bella vita di Santo che sia mai stata scritta. Sempre nel 2004 è stata presentata la prima edizione della “Positio” di Tommaso, opera importantissima non solo per la cultura francescana, ma per tutti gli ambiti culturali, religiosi e sociali. Il grande pubblico, infatti, ora può conoscere, attraverso il volume, la vita e l’opera di Tommaso da Celano, uomo talmente importante e attuale per la sua testimonianza meravigliosa della vita di Francesco, da continuare a ispirare nuovi “Dies Irae” e nuove pubblicazioni sulla sua opera. E’ stata allestita anche una mostra nel museo di San Francesco dal titolo “Edifici Sacri, testi fondanti della cultura francescana” che ha registrato 6.000 visite in pochi giorni.
Numerose le attività e i gruppi nati negli ultimi anni nel convento di San Francesco. Oltre a essere centro di pastorale di giovane regionale, ospitando quindi le scuole di preghiera e gli incontri vocazionali, i gruppi sono numerosi. C’è infatti la fraternità dell’Ordine francescano secolare composta da una quarantina di persone tra professi perpetui, novizi che vivono un tempo di preparazione alla scelta definitiva e postulanti che fanno un cammino per capire bene lo spirito del francescanesimo. Si tratta del terzo ordine francescano ed è composto da laici che seguono la via di Francesco pur avendo famiglia. Il ministro della comunità di Tagliacozzo è Veraldo Costantini. C’è poi il gruppo dei giovani che fanno un cammino di fede. Padre Antonio segue anche un gruppo di giovani che fanno un cammino di fede spirituale e dirige il coro liturgico composto da 35 elementi per l’animazione delle funzioni religiose e delle cerimonie solenni. C’è anche un altro gruppo di adulti composto da circa quaranta persone. Guidati da Padre Antonio percorrono un itinerario legato alla comprensione della Parola. Tra le altre attività dei frati c’è la direzione spirituale e l’animazione liturgica alle suore di Magliano, di Celano, a quelle di San Giovanna Antida a Tagliacozzo e alle monache benedettine di cui sono ufficianti e confessori.
La chiesa è ritenuta una delle più antiche dell’ordine francescano perché aperta dal beato Tommaso da Celano, compagno e scrittore della vita di San Francesco. Alcuni documenti proverebbero che la consacrazione della chiesa è avvenuta nel 1233 per mano di monsignor Girolamo di Veroli. Nel 1260, Alessandro IV accordò l’indulgenza a chiunque visitava il Santuario in determinate festività. Il convento, secondo un’altra teoria, fu impiantato a contatto di una piccola chiesa rurale, denominata “Santa Maria extra moenia”, essendo una delle poche costruzioni esistenti fuori dalle mura primitive della Città. L’ interno della chiesa è notevole anche per le numerose opere d’arte che vi sono conservate e per l’architettura gradevole. Nel transetto sinistro spicca una tavola del XVI secolo raffigurante la Madonna col bambino. Nel transetto destro un grande quadro raffigurante il miracolo di Sant’Antonio che salva Tagliacozzo dalla distruzione ad opera delle truppe del viceré di Napoli. La statua di S. Antonio, in una nicchia sulla parete della terza campata, è preziosa opera del XVI secolo. L’interno della chiesa è composta da una sola navata divisa in tre campate coperte da volte a crociera di cui una reca la data 1.533. LAVORI. Da un anno la chiesa è chiusa per lavori di pavimentazione finanziati dal Fec. I ritardi della Soprintendenza hanno suscitato le proteste dei fedeli e il richiamo del Ministero dell’Interno. LA COMUNITA’. Attualmente i frati sono tre. Oltre a padre Iosue ci sono padre Giulio Cesareo di 30 anni, originario di Castelvecchio Subequo e fra’ Egidio Iannicca di 85 nato a Cerchio. Le messe festive si tengono alle 10 (attualmente a San Cosma alle 11 per i lavori) e alle 17.30.
I frati minori conventuali d’Abruzzo nel 2001 hanno fondato una missione in Burkina Faso. Numerose le iniziative di sensibilizzazione, come mercatini e raccolta fondi e viveri, avviate dai fedeli di San Francesco per dare sostegno a uno dei paesi più poveri del mondo. La presenza dei francescani in quella zona povera della terra è molto importante anche sul piano religioso perché viene offerto un prezioso aiuto alla comunità locale che manca di sacerdoti e operatori pastorali. La missione arricchisce la Chiesa locale del carisma francescano dell’umiltà, della cordialità e della gioiosa presenza in mezzo ai fratelli. Sul piano sociale i missionari, oltre a quest’ultimo progetto di emergenza, stanno dando vita a molte iniziative come il centro nutrizionale e l’ambulatorio. Per donazioni intestate a Opere missionarie francescane il conto corrente postale è 11681657.
PARROCCHIA DI SAN GIOVANNI BATTISTA A CELANO (19 gennaio 2008)
Il viaggio alla scoperta delle parrocchie della Marsica raggiunge Celano dove la prima chiesa è quella di San Giovanni Battista. Si tratta di una parrocchia ricca di tradizioni, dove si svolge l’importante festa dei Santi martiri Simplicio, Costanzo e Vittorino. E’ la parrocchia più vecchia della città che ha avviato da diversi anni un processo di modernizzazione e ricambio generazionale. Si guarda al futuro e ai giovani pur mantenendo vive le credenze popolari e le tradizioni religiose. Sono numerosi i gruppi parrocchiali e diverse le iniziative finalizzate alla formazione dei giovani. L’intensa attività pastorale è la prova che l’obiettivo della chiesa di San Giovanni è quello di rendere più profonda la cristianità dei fedeli. Nel quartiere non mancano i problemi di povertà che interessano soprattutto le famiglie che hanno un solo reddito o in cui ci sono problemi occupazionali e precariato.
A San Giovanni la tradizione popolare, la devozione per i Santi martiri e le profonde radici culturali si fondono per dar vita a una realtà coesa e operosa. Ma la parrocchia, guidata da don Claudio Ranieri, è alla ricerca costante di una nuova e più intensa cristianità rivolta ai giovani. Il quartiere va incontro a un costante invecchiamento e a un progressivo spopolamento a favore della periferia.
L’innovatore per eccellenza è don Claudio che da circa 18 ha avviato un processo di fusione tra le tradizioni che caratterizzano la cristianità dei più anziani, e la religiosità spirituale che è parte fondante del cammino dei giovani della parrocchia. Arrivai a San Giovanni nel 1980, dopo don Enrico Polla che era stato in parrocchia per 33 anni», racconta don Claudio, «e trovai una marcata religiosità popolare. Ero stato per tanti anni parroco del Sacro Cuore, una parrocchia giovane e in crescita. Qui invece era tutto prefissato e stabilito dalle tradizioni. E’ la parrocchia più consolidata dove ci sono anche alcune incrostazioni che vanno aggiustate». Secondo il sacerdote, c’è il rischio che, con la sola tradizione, la fede si svuoti e rimanga soltanto apparenza. «Serve intervento per ridare spessore a questa grande religiosità dei celanesi». E di innovazioni, infatti, ce ne sono state diverse e anche molto radicali. Ad esempio la tradizione fino a qualche anno fa prevedeva l’esposizione di Cristo morto il giovedì santo. Si trattava di una simbologia anacronistica rispetto alla realtà dei fatti legati alla crocifissione e alla Risurrezione di Gesù. «La gente cerca emozioni forti, per questo è legata alle usanze e ai costumi», spiega don Claudio, «ma con pazienza e fatica siamo riusciti a cambiare questa tradizione». Il fatto, però, come era prevedibile, ha creato fibrillazione e sconcerto in città e non sono mancate le proteste. «Ma alla fine», sottolinea il sacerdote, «il popolo è stato intelligente e ha accettato il cambiamento». La parrocchia conta circa quattromila abitanti e rappresenta la zona antica di Celano. Uno dei problemi del quartiere è quello dello spopolamento. Le nuove famiglie scelgono sempre più di abitare in periferia. Ma il fatto più preoccupante riguarda l’invecchiamento a cui va incontro la zona. Nel 2007 i battesimi sono stati 33 ma purtroppo i funerali sono arrivati a quota 47 funerali. Una tendenza che con gli anni rischia di intensificarsi. Si tratta di un quartiere che cambia, anche dal punto di vista sociale e lo spettro della povertà si fa ogni giorno più concreto. «La Caritas», spiega don Claudio, «fino a dieci anni fa lavorava quasi esclusivamente per gli immigrati». Oggi ci sono circa cento famiglie che si rivolgono all’associazione di volontariato. Altri cittadini, inoltre, esprimono il desiderio andare a ritirare i viveri in orari diversi da quelli di apertura al pubblico. <e’ la nuova povertà, quella nascosta, di cui sono vittime i disoccupati, le famiglie con uno stipendio solo a volte precario, gli anziani che vivono con le pensioni sociali, il vecchio ceto medio, insomma. La missione della parrocchia è rivolta ai giovani. Per il prete va accentuata la catechesi. Perché la «religiosità popolare non dà certezza per il futuro, oggi non più sufficiente, i giovani hanno bisogno della conoscenza della parola, che li protegga da falsi valori».
Quella di San Giovanni apostolo è una delle parrocchie più attive della città. I numerosi gruppi e le iniziative di preghiera, volontariato e formazione ne fanno un vero centro per l’evangelizzazione. Intensa anche l’attività delle sei Confraternite. Una tradizione che col passare degli anni è sempre più viva. E poi c’è la religiosità dei Santi Protettori, un vero culto popolare.
La catechesi domenicale per i ragazzi viene portata avanti dalle insegnanti Federica Piemari, Annarita Piemari, Martina Morgante, Sara Contestabile, Giulia Rossi, Chiara Marcanio, Valeria Montagliani, Claudia Marchetti, Manuela Masscitti, Alessandra Scafati, Chiara D’Alessandro. La catechesi per la prima comunione è curata da Franca Ranalletta, Graziella Masi, Arianna Sforza, Concetta Pera, Romina Letta, Gabriella Ranalletta, Marisa Guerra, Laura Maria Pietrangeli. Della Cresima si occupa, invece, Valeria Felli. Gli incontri biblici settimanali curati da Laura Paris, mentre il parroco è responsabile degli incontri per i genitori nei periodi dell’Avvento e della Quaresima. La Caritas parrocchiale svolge attività di volontariato per andare incontro alle persone più bisognose, ma si occupa anche di un centro di ascolto e assistenza. A volte, infatti, i bisogni della popolazione non riguardano solo l’aspetto materiale. A volte i fedeli hanno anche bisogno di essere ascoltati, di confrontarsi con persone disposte a condividere i loro problemi. Spesso, infatti, la solitudine fa più male della povertà. E per questo è stato attivato il centro di assistenza spirituale. La responsabile della Caritas è Vittoria Ciaccia e i volontari sono Vittoriana Di Renzo, Laura Flammini, Silvia Carusi, Lidia Ranalletta, Rita Curti, Antonietta Ciaccia e Teresa Luccitti. Grande responsabilità è quella del consiglio economico formato, oltre che dal parroco, da Loreto Di Cicco, Luigi Di Paolo, Sandro Paris, Fernando Pestilli e Nino Ranalletta. Nella parrocchia c’è una brillante realtà musicale con la presenza di due corali, anche grazie all’apporto di don Claudio, compositore e musicista. La liturgia delle 11 è animata dal coro degli adulti diretto da Marianna D’Ovidio, mentre il coro dei giovani canta durante la messa delle 9.30. Sono sei le confraternite in città: Madonna delle Grazie, presieduta da Antonio Flammini, Madonnina (Vittorio Pecorabianca), Sanrocco (Michele Di Summo), San Francesco (Fabio Pestilli), Madonna Del Carmine (Nazzareno Di Pizio), Santangelo (Fabio Rocchesini). L’evento più importante della parrocchia è quello dedicato a Simplicio, Costanzo e Vittorino, i Santi martiri di Celano. Si tratta di un culto che risale ai primi anni della cristianizzazione abruzzese e ha numerosi risvolti oltre che religiosi di carattere socio-culturale. Intorno al martirio dei tre Santi i celanesi hanno dato vita a riti religiosi, pagani e di folklore che hanno portato alla formazione di un vero e proprio culto popolare. Le ossa dei tre martiri furono rinvenute nel 1054 da fra’ Giovanni da Foligno e, dopo varie traslazioni, sono state sistemate il 24 agosto 1709 nell’altare maggiore della chiesa di San Giovanni Battista.
La chiesa è sorta nella seconda metà del duecento per opera di Ruggero di Celano. Divenne così la parrocchia del nuovo incastellamento duecentesco della “Cittadella”. Nella prima metà del quattrocento, forse grazie all’intervento della contessa Jacovella di Celano, fu terminata da artisti aquilani la facciata decorata dal portale e dal rosone. All’interno vennero realizzati i nuovi affreschi a cui lavorò anche il giovane Andrea De Litio. Sul finire del cinquecento fu realizzato, per interesse di Costanza Piccolomini d’Aragona, lo stupendo portone in legno di sambuco a due battenti con tre formelle interne contrassegnato dagli scudi dei Piccolomini e di Aragona-Castiglia. Nel 1706, dopo un terremoto, la chiesa subì forti interventi di restauro con la ricostruzione della parte presbiteriale e dell’abside, mentre l’interno venne abbellito con decorazioni barocche con volte a botti che nascosero le precedenti a crociera ed i loro affreschi. Il terremoto del 1915 distrusse la sacrestia e locali annessi, ma fece riaprire nella navata destra le volte gotiche affrescate grazie alla caduta delle barocche volte a botte in foglio. L’interno della chiesa, nella struttura gotica è articolato in tre grandi navate con volte a crociera, divise da massicci pilastri ottagonali. La chiesa nel 1997 è stata abbellita con una via crucis composta di altorilievi in pietra dello scultore Novello Finotti. SACERDOTI. Il parroco della chiesa di San Giovanni Battista è don Claudio Ranieri, mentre il coadiutore è monsignor Gerasimo Ciaccia.
PARROCCHIA DEL SACRO CUORE A CELANO (26 gennaio 2008)
Quella del Sacro Cuore è una parrocchia giovane, che non ha neanche cinquant’anni e che punta alla formazione delle nuove generazioni e all’accoglienza delle persone in difficoltà. La chiesa, guidata da don Giuseppe Ermili, è il cuore di un quartiere vivace e dinamico, dove i giovani sono la speranza per il futuro e la loro partecipazione alla vita parrocchiale è il segno profetico di una comunità destinata a crescere.
L’arrivo di don Giuseppe in parrocchia risale al 1993. «Allora la zona era già in espansione», racconta il sacerdote, «mancavano i negozi e i servizi, perché tutto era ammassato in centro». Oggi la situazione è migliorata, ma il problema della carenza di servizi non è stato ancora risolto definitivamente. Nella zona, infatti, mancano infrastrutture e l’attivazione di un piano di riqualificazione per rilanciare l’aspetto della zona e l’arredo urbano. «Non ho avuto difficoltà al mio arrivo», spiega il parroco, «soprattutto grazie a una buona accoglienza della popolazione». La situazione, però, non era tutta rose e fiori. «Trovai anche alcune situazioni di povertà economica», aggiunge. Oggi nel quartiere di Muricelle e della stazione abitano soprattutto imprenditori agricoli, edili, e lavoratori di ceto medio. Quella del Sacro Cuore è una parrocchia giovane, sia per quanto riguarda la nascita della comunità religiosa, che compirà cinquant’anni nel 2012, sia per le attività che vengono svolte, dedicate soprattutto ai ragazzi. E’ la seconda parrocchia della città, dopo quella di San Giovanni, e gli abitanti sono quasi 3.500. E’ un quartiere in espansione. Da qualche anno si sono equiparati il numero di battesimi e quello dei funerali, che si aggirano entrambi intorno ai 25 all’anno. Di pari passo alla popolazione, anche la parrocchia è in espansione ma, secondo il sacerdote, «è rimasta l’abitudine a tornare nei giorni di festa e anche la domenica alle parrocchie di origine. «Le potenzialità di questo quartiere», continua don Giuseppe, «sono immense e a volte c’è la tendenza ad accontentarsi, senza cercare di più. Ma bisogna andare avanti e non fermarsi mai, per portare a compimento il disegno di Dio per una comunità in crescita e sempre più unita». Secondo il sacerdote, insomma, c’è vitalità e partecipazione tra i fedeli, l’associazionismo è sempre presente, l’impegno non manca e la gente sente la parrocchia come punto di riferimento, «ma si potrebbe fare di più». Ora il parroco sta tentando di valorizzare gli impianti sportivi che fanno parte della chiesa. Il quartiere, soprattutto negli ultimi anni, sta diventando multietnico. Gli immigrati sono numerosi. Basti pensare che in città hanno raggiunto quota 600 e una buona parte abita proprio nel quartiere. «In città», afferma don Giuseppe, «c’è anche il problema della droga. Non è un fatto esplosivo ma è una minaccia. Le forze dell’ordine fanno il loro dovere, ma è fondamentale l’assistenza e la sensibilità da parte dei genitori. Meglio intervenire prima che sia necessaria la repressione». La parrocchia, fino a qualche tempo fa, ha aiutato la missione in Africa della religiosa celanese suor Maria Caferra, delle Suore della carità. «Oggi l”obiettivo, come spiega il parroco, «è cercare di essere una chiesa al centro della vita della comunità, vivendo la sua dimensione quotidiana nell’assistenza spirituale agli ammalati, nella formazione dei giovani e delle famiglie». Pietro Guida
Le attività della chiesa del sacro cuore sono rivolte soprattutto ai ragazzi. Sono infatti quasi 250 i giovani che frequentano le attività di catechesi in parrocchia. Ma oltre agli incontri pastorali rivolti alle realtà giovanili, ci sono anche i corsi di formazione per gli adulti e le giovani coppie. Molto attivi anche il comitato per la festa parrocchiale e il consiglio economico. L’attività di catechesi si svolge attraverso la costituzione di équipe di catechisti e mediante la preparazione di sussidi preparati per il tema pastorale annuale. Lo staff, composto da 27 persone, si occupa dell’iniziazione cristiana e dell’accompagnamento in cammini di fede di adolescenti e di giovani. Quella adolescenziale è l’età degli interrogativi più profondi, delle ricerche ansiose e perfino frustranti, di una certa diffidenza verso gli altri con dannosi ripiegamenti su se stessi, l’età talvolta delle prime sconfitte e delle prime amarezze. La catechesi non ignora tali aspetti di questo delicato periodo della vita e cerca di condurre l’adolescente a una revisione della propria vita e al dialogo. Oltre al parroco, del delicato compito si occupano: Anatolia Angeloni, Valentina Belmonte, Giovanna Bernardi, Felice Biocca, Antonio Di Renzo, Maria Letizai Caferra, Fabrizio Coletta, Pasquale Felli, Pamela Petrolio, Annarita Di Renzo, Rosanna Esposito, Maria Carmen Felli, Eliana Letta, Iole Letta, Onorina Marcanio, Teresa Molinelli, Antonella Paris, Brigida Perrella, Arianna Presutti, Annalisa Zaurrini, Patrizia Testa, Annarita Marcanio, Carmine Di Bernardo, Silvia Caferra, Angela Palerma, Annamaria Libertini.
In tutto i ragazzi sono circa 240. Il catechismo viene seguito per otto anni consecutivi e prevede un intero percorso, non solo sacramentale. Inizia dalla prima elementare fino alla seconda media. Alla terza media c’è poi il cammino per la cresima. La parrocchia svolge inoltre la cura di centri di ascolto della Parola, l’animazione liturgica, l’animazione di gruppi di giovani famiglie, di anziani. Nell’ambito delle attività di sostegno sociale sono impegnati anche gruppi caritativi come la Caritas, che fa riferimento al parroco e viene condivisa con quella della chiesa di San Giovanni e fa anche visite ad anziani, ammalati, a persone bisognose e sole, abbandonate a se stesse. Il Consiglio economico, presieduto dal parroco, è composto da Salvatore Baruffa, Agostino Caferra, Emma Ranalletta, Antonella Del Beato, Rosanna Esposito, Rita Marcanio, Roberto Libertini, Giuseppe Testa, Domenico Paris e Berardino Filauri. Poi c’è il coro degli adulti che anima le celebrazioni della domenica e dei giorni festivi. Attivo in parrocchia anche un gruppo di preghiera ispirato al movimento del Rinnovamento dello Spirito e che si riunisce settimanalmente. Il gruppo dei ministranti è composto da Carmine di Bernardo, Pasquale Ferri, Elvis Felli, Valerio Marcanio, Emanuel Biocca e Fabio Carusi e Alfio Ragusa. In parrocchia vengono svolti catechesi per gli adulti, corsi per le famiglie e incontri prematrimoniali, molto frequentati. Il nuovo gruppo inizierà l’attività il primo venerdì di febbraio e un secondo turno il secondo sabato di ottobre. Il comitato per la festa dedicata al Sacro Cuore, che si tiene la terza domenica di giugno, viene rinnovato ogni anno.
La chiesa del Sacro cuore fu istituita il 19 agosto 1962. A disporne la costruzione fu monsignor Domenico Valerii, su richiesta di monsignor Domenico Polla, preposto di Celano, e del parroco Alipio Polla. I lavori iniziarono nel dicembre del 1958 e in quattro anni furono terminati. Ma l’input alla realizzazione della nuova chiesa a Celano arrivò proprio dalla popolazione. C’era infatti la necessità di un altro luogo di culto oltre alla chiesa di San Giovanni per far fronte alla crescita demografica della città e all’incremento e, in particolare, all’aumento degli abitanti nel quartiere. Per molti anziani cominciava a diventare difficoltoso dalla stazione raggiungere la chiesa di San Giovanni. La presenza dei frati cappuccini non bastò a garantire un servizio liturgico e pastorale per la popolazione che cresceva in maniera esponenziale in tutto il quartiere. Per questo la costruzione del nuovo luogo per la preghiera andò avanti. Già prima della realizzazione della chiesa, le prime funzioni religiose si tennero nei locali dell’attuale scuola elementare. Il primo parroco fu don Claudio Ranieri arrivato il 19 agosto 1962, fino al 1980. Poi fu la volta di Antonio Salone, fino al 1993, quando venne sostituito da don Giuseppe Ermili. Le funzioni religiose si tengono nei giorni feriali alle ore 17 e nei festivi alle 8 e alle 10.30, nei periodi invernali. In estate la messa c’è alle 18 nei giorni feriali e alle 8 e alle 10.30 la domenica e i festivi. A luglio e agosto la messa si fa alle 8 anche nei giorni feriali.
PARROCCHIA DI SAN GIUSEPPE A PESCINA (2 febbraio 2008)
Una parrocchia in espansione, con un grande futuro davanti, ma anche con una pesante responsabilità: quella di conservare le spoglie di Santina Campana, la ragazza dell’Azione cattolica divenuta morta con i dolori della malattia ma sempre col sorriso sul suo angelico volto. La chiesa di San Giuseppe, guidata da don Michele Saltarelli, lavora per ricucire le storiche divisioni tra chiesa madre e periferia. E’ arrivato in parrocchia nel otto anni fa. Don Michele, originario di Pescasseroli è succeduto a don Antonio Tirabassi e a don Emidio Cipollone. Si tratta di una comunità di circa duemila abitanti. «Questa è una zona si sta espandendo», spiega don Michele, «e che è destinata ad accogliere una comunità sempre più numerosa e variegata». La chiesa venne realizzata dopo il terremoto del 13 gennaio 1915, nel periodo della ricostruzione, in una zona dove c’erano vigneti, campi coltivati e aperta campagna. Con il terremoto, uno dei più catastrofici avvenuti sul territorio italiano e che causò più di 29mila vittime su un totale di 120mila abitanti della Marsica, Pescina venne completamente rasa al suolo. Le vittime furono circa cinquemila su un totale di seimila abitanti. Basti pensare che il sisma, avvenuto alle 7.48, isolò completamente la zona e la notizia del disastro fu segnalata solamente nel tardo pomeriggio. I soccorsi, partiti a tarda sera, arrivarono solamente il giorno successivo a causa dell’impraticabilità delle strade causata da frane e macerie. I pochissimi sopravissuti, in gran parte feriti, rimasero senza tetto poiché tutti gli edifici crollarono su se stessi. C’era quindi la necessità di ricominciare e quella zona libera da costruzioni venne utilizzata dalla popolazione per le nuove abitazioni. La curia decise di costruire anche una chiesa. In centro rimase la cattedrale, che per diversi secoli aveva ospitato il vescovo dei Marsi. «Oggi siamo di fronte a una zona più fruibile», sottolinea il parroco, «di passaggio, il paese ha spostato il suo baricentro verso questa zona perché la gente ha costruito dove aveva i terreni». Questo processo di espansione, iniziato negli anni trenta, è ancora in atto. «Ci sono molte famiglie giovani», spiega don Michele, «che rendono la parrocchia vitale e dinamica». Si tratta di famiglie di media borghesia, ma non mancano nella zona anche problemi di povertà. «E’ un fenomeno diverso da quello di una volta», sottolinea il sacerdote, «che si collega con la presenza di immigrati». Nella zona sono numerosi infatti i braccianti che lavorano nella piana del Fucino, ma non mancano le badanti provenienti dalla Romania, dalla Polonia e dall’Est in genere. «Oggi stiamo lavorando», afferma don Michele, «per l’unità delle due parrocchie, cercando di dar vita a un’unica comunità, facendo un cammino insieme». Oggi viene svolto un corso biblico congiunto. Sono diverse le realtà associative della parrocchia. Ci sono la Confraternita di San Giuseppe, composta da 60 persone, il coro, che anima le funzioni festive e domeniche, l’attività di catechesi, l’incontro per fidanzati e il corso biblico per gli adulti. Ciò che manca in parrocchia, secondo il parroco, sono le struttura di supporto alla chiesa per l’attività pastorale. C’è solo una saletta per le riunioni ma mancano luoghi aggregativi per i giovane e una strutture adeguata per gli incontri.
Quando fu portata in chiesa per essere battezzata si compì la prima profezia legata alla sua esistenza. Era un freddo mattino dell’inverno 1929. Sua nonna contrariata sulla scelta del nome protestò esclamando: «perché volete chiamarla Santina? Sul calendario non c’è alcuna santa con tale nome!». Ma il parroco rispose: «Stai tranquilla, questa bimba sarà la prima santa con questo nome sul calendario». Settima di nove figli, Santina Campana nacque ad Alfedena il 2 febbraio 1929. Era una bambina precoce e imparò subito ad amare Gesù sopra ogni cosa . A 7 anni si offrì “vittima” per la vocazione religiosa della sorelle e sacerdotale dei fratelli. Terminò le scuole elementari e vide, a poco a poco, partire le sue sorelle e i suoi fratelli per diverse Congregazioni religiose. Santina commentò: «Dove c’è una vocazione, non può mancare una vittima». Qualche tempo dopo le sfuggì una profezia: «Gesù mi farà sua sposa come Teresina». Il suo modello, infatti è la piccola Santa di Lisieux. Fece parte dell’Azione Cattolica e partecipò, portando cesti di sabbia e secchi di acqua a duecento metri di distanza, alla costruzione della sede. Presto la sua casa diventò un piccolo cenacolo dove si radunavano molti bambini per ascoltarla. Arrivarono gli anni difficili della Seconda Guerra mondiale. Fu sfollata per le montagne nevose d’Abruzzo e del Molise. Si ammalò gravemente di pleurite. In quell’occasione di grande sofferenza fisica e mentale rivelò subito il suo carisma e la sua santità. Dispensando serenità e fiducia ai familiari e al prossimo dava forza a tutti ripetendo: «coraggio, sarà quello che il Signore vorrà, se egli non permetterà, nessuno ci potrà fare del male». All’Armistizio dell’8 settembre 1943, mentre molti esultano perché la “guerra è finita”, lei, ad appena 14 anni, disse: «La guerra inizia adesso». A 16 anni entrò novizia tra le Suore di Carità edificando le Maestre e Consorelle con lo spirito di sacrificio e di fede. A 17 anni, a causa di una emottisi polmonare, lasciò il Noviziato per entrare in sanatorio. Dal letto di dolore, che lei chiamava il suo “trono bianco”, attirava le anime afflitte e le consolava con una delle sue frasi più irrazionali e profondi: «Coraggio, il soffrire passa, l’aver sofferto rimane». Ricca di meriti e di virtù eroiche morì a 21 anni, il 4 ottobre 1950, nel sanatorio di villa Rinaldi, l’attuale ospedale. Oggi sono centinaia le persone che ogni anno visitano la chiesa dove riposano le spoglie della dolce Santina. Molti fedeli arrivano dalla Campania e dal Lazio, ma anche da Marche, Sicilia, Sardegna e Toscana. I pellegrinaggi iniziano a maggio, fino a ottobre. La domenica prima o dopo il 4 ottobre si celebra ogni anno la commemorazione. Il processo di beatificazione è ancora lungo, ma le speranze dei fedeli sono tante.
La chiesa di San Giuseppe artigiano fu realizzata negli anni trenta. L’autorità ecclesiastica marsicana decise di costruire in paese un altro luogo di culto oltre alla cattedrale, che si trovava in centro e che era stata per centinaia di anni la sede della curia. I lavori iniziarono alcuni anni dopo il terribile terremoto del 1915 che rase al suolo la cittadina della Valle del Giovenco. In molti sostengono che la decisione della chiesa marsicana di realizzare la nuova struttura di culto rappresentava una sorta di “omaggio” alla popolazione per aver ospitato per tanti anni il vescovo, prima la curia si spostasse ad Avezzano. In realtà, dopo il terremoto, iniziò la fase della ricostruzione e in quella zona, allora costituita solo da campi coltivati e da vigneti, i residenti cominciarono a realizzare le proprie nuove abitazioni. Anche per questo motivo ci fu la necessità di realizzare la nuova chiesa. All’interno della Chiesa si trova la tomba della Serva di Dio, Santina Campana. Il luogo è oggetto di continui pellegrinaggi da parte dei devoti a questa straordinaria figura cristiana di amore carità e dedizione a Dio e al prossimo. Il parroco della chiesa è don Michele Saltarelli, succeduto a don Antonio Tirabassi e a don Emidio Cipollone. I fedeli che fanno parte del territorio della parrocchia sono circa duemila in costante crescita. Le funzioni religiose si tengono nei giorni festivi alle 8, alle 10 e alle 11. nei giorni feriali, invece, la messa è alle 16.30 nel periodo invernale e alle 17.30 nel periodo estivo.
PARROCCHIA SAN CESDIO A TRASACCO (16 febbrraio 2008)
E’ la parrocchia più antica, cuore della tradizione religiosa del paese, con una forte identità storica e con l’obiettivo di consolare i sofferenti, avere cura degli anziani e curare la formazione di giovani e bambini. La basilica dei santi Cesidio e Rufino Martiri è guidata da don Duilio Testa che, dopo le rivolte in paese per l’allontanamento dei cappuccini, sta cercando di traghettare la chiesa verso una nuova stagione.
Dopo le rivolte popolari degli ultimi anni, causate dal trasferimento dei frati dall’altra parrocchia Santa Maria del perpetuo soccorso, vicende che hanno lacerato il paese, si guarda al futuro con un occhio di ottimismo. Don Duilio arrivò tra la comunità di Trasacco in un momento difficile. Era il 2003 e la protesta dei fedeli, che chiedevano un dietrofront dei cappuccini che avevano trasferito tutti i frati dalla parrocchia di Santa Maria, era nel vivo. Don Duilio, con alle spalle trent’anni di missione in Africa, venne percepito come un ostacolo al tentativo dei fedeli. La sua nomina a parroco della chiesa per tanti anni guidata dai frati non fu accettato dalla gente. Così il sacerdote rimase parroco di San Cesidio, sostituendo don Antonio Saracino. Nella chiesa si erano già succeduti don Giuseppe Cucis, don Evaristo Angelini, don Pasquale Di Loreto, don Augusto Oddi. Fu quindi un arrivo difficile ma che non scoraggiò il sacerdote. «Venivo da un’esperienza difficile», racconta il parroco, «perché dal 1956 ero stato in missione nel Congo». Si trattò di una esperienza difficile ma importante. La parrocchia era nel cuore della Foresta equatoriale e comprendeva 248 villaggi, per un territorio di circa 60mila chilometri quadrati. «Dopo trent’anni fui costretto a tornare in Italia per motivi di salute», aggiunge, «altrimenti avrei continuato la mia attività pastorale in Africa». Alla fine l’anziano parroco, nonostante la situazione, è riuscito a conquistare il cuore dei parrocchiani. Oggi la situazione è tornata alla normalità, ma i problemi non mancano. La ferita lasciata da anni di proteste che hanno avuto strascichi giudiziari si sta rimarginando lentamente. La parrocchia di San Cesidio copre una vasta zona del paese. Pur essendo la chiesa più antica, i fedeli che vi fanno riferimento sono la minoranza. «La popolazione», spiega il parroco, «si è spostata verso la pianura, dove sono state costruite nuove abitazioni. In quella zona si è sviluppato il paese». Nel 1973 a Trasacco c’era un’unica parrocchia, quella di San Cesidio, ma poi ci fu la decisione di aprirne una seconda, quella della Madonna del soccorso. Nella zona vecchia oggi abitano anche numerosi immigrati, circa 800 secondo il parroco, che hanno affittato le vecchie abitazioni e con difficoltà stanno cercando di integrarsi con la popolazione. «La realtà giovanile in paese», spiega il sacerdote, «è molto difficile. Non mancano i problemi di droga e per sensibilizzare i giovani su questo problema una volta al mese invitiamo rappresentanti di una comunità di recupero che al termine della messa parlano ai fedeli». La carenza di strutture per i giovani in parrocchia è un altro problema. «La casa canonica non è finita», racconta don Duilio, «stiamo lavorando per la ristrutturazione e accogliere i giovani». Ma oltre ai giovani, l’altra missione della parrocchia è rivolta agli anziani. «La visita a casa è importante», conclude il sacerdote, «spesso stanno soli ma devono sapere che possono contare sulla presenza del prete».
La devozione della popolazione per i santi martiri Rufino e Cesidio ha radici profonde e non accenna a indebolirsi con il passare degli anni. Ma si tratta di un culto che va al di là della venerazione locale. Sono molti, infatti, i pellegrini che si recano nella basilica trasaccana attratti dalla fama dei miracoli di San Cesidio. Attualmente la statua del santo si trova in un centro specializzato per essere restaurata. Secondo un’antica “passio”, che sembra avere il sapore di una legenda, San Cesidio, parroco dei Marsi, morì martire per aver trafugato le spoglie di suo padre, Rufino, primo vescovo di Assisi, nella chiesa di Trasacco. La sua morte avvenne nel periodo della persecuzione di Massimino (235-237). Da un documento risalente alla fine del IX secolo ad Amaria, nel Ponto, durante l’impero di Domnino, scoppiò una persecuzione contro i cristiani. Rufino e suo figlio Cesidio furono imprigionati e sottoposti a torture. Sembra che ne carcere furono inviate anche due meretrici con il compito di farli cadere per le passioni della carne. Padre e figlio, però, riuscirono a superare anche questa prova e allo stesso tempo convertirono molti pagani, compreso il proconsole Andrea, colui che li aveva tormentati cercando di far loro rinnegare la religione in cui credevano. Quando furono liberati, si trasferirono nella regione dei Marsi per evangelizzare il territorio. Presto Rufino si spostò ad Assisi, lasciando Cesidio a Trasacco. Rufino divenuto vescovo di Assisi (e successivamente patrono della città) dove fu martirizzato. Cesidio allora trafugò il corpo del padre a Trasacco. Un’iniziativa che li costò la vita. Il magistrato romano lo condannò a morte. Fu ucciso mentre celebrava la messa insieme a Placido ed Eutichio. La preziosa reliquia del braccio di San Cesidio è stato foriero di numerosi miracoli. Le grazie vengono infatti ottenute attraverso la benedizione col “Santo Braccio”. In primo ordine tutti i malanni legati al male di gola, ma non sono esclusi effetti prodigiosi contro altre malattie e verso le diverse necessita dei devoti. Tra questi ci sono natta, febbre, ghiandole, cadute, difficile parto, dolori di vario genere, scrofole, podagra, coltellate, archibugiate, scaramanzia, fistole, calcoli, palpitazioni. Sono numerose le testimonianze di guarigioni riguardo a tali patologie. Ora la statua del Santo è in fase di restauro. «Nella chiesa», racconta il parroco don Duilio Testa, «abbiamo un patrimonio artistico enorme, e con i giovani stiamo cercando di rivitalizzare questo tesoro culturale e religioso. E’ in corso il restauro della statua di San Cesidio, che è stata portata in un centro specializzato che la farà tornare agli antichi splendori. L’intervento è stato possibile grazie al contributo della Carispaq». Ogni anno in paese si svolgono grandi festeggiamenti solenni in onore dei anti patroni Cesidio e Rufino martiri, per intercessione di Maria vergine di Candelecchia e la Gloria della santissima Trinità. Particolarmente ricco il programma dei quattro giorni dedicati ai festeggiamenti, oltre all’importante processione che si tiene il 31 Agosto con la reliquia del Braccio di San Cesidio portata per le vie della città. Si svolgono cerimonie religiose e manifestazioni culturali e musicali.
PARROCCHIA MADONNA DEL PERPETUO SOCCORSO A TRASACCO (23 febbraio 2008)
Una parrocchia lacerata da anni di rivolte e proteste, causate dalla decisione dei cappuccini di chiudere il convento dei frati. La chiesa di Santa Maria del perpetuo soccorso oggi ha di nuovo spalancato le porte ai fedeli ed è pronta a voltare pagina. A rimarginare le ferite dell’incomprensione e il rancore ci stanno pensando i religiosi dell’ordine degli Oblati del cuore eucaristico, che presto riapriranno anche il convento.
E’ la parrocchia più grande del paese e conta ben tremila e seicento abitanti. La chiesa è stata riaperta la notte del 23 dicembre per volontà del vescovo di Avezzano Pietro Santoro. A celebrare la messa è stato padre Michele Carlot, della congregazione degli oblati. «Tutto è cominciato», racconta il sacerdote, «il ventidue di novembre dello scorso anno. Il vescovo nuovo vescovo, Pietro Santoro, ci fece la proposta di riaprire la chiesa di Trasacco. Al mio arrivo nella Marsica avevo saputo di tutto ciò che era accaduto a Trasacco e, inoltre, avevamo l’esigenza di raggruppare la comunità in una casa dove poter vivere tutti gli aspetti della vita comunitaria. Soprattutto il vescovo voleva risolvere il problema della presenza di una guida in paese e quello della riapertura della chiesa. Ci ha chiesto di pensarci su», spiega il parroco, «e alla fine abbiamo accettato». Così la notte del 23 dicembre ci fu la messa che segnò di fatto una nuova era per la chiesa del Soccorso. «Siamo stati accolti calorosamente dal paese, dall’ente morale “Tau”, dal sindaco e da tutta la popolazione. In molti hanno offerto la loro collaborazione e c’è tanta gente disponibile ad aiutarci». Con l’arrivo ci padre Michelle, che tutti chiamano semplicemente Michele, le associazioni anno incominciato a risorgere. Si è riformato subito il coro polifonico e padre Riziero, un altro confratello degli oblati, parroco di Ortucchio, è stato coinvolto per la pastorale giovanile. Si sta ricostruendo l’associazione Figli della croce con 26 donne già iscritte e la compagnia della Santissima trinità a piedi. Si sta riformando l’oratorio e si proverà a recuperare le strutture ricreative per i giovani. Tutta la comunità degli Oblati, formata oltre che da padre Michelle e padre Riziero da padre tonino, ora dovrà trasferirsi nel convento che era dei cappuccini. Attualmente la congregazione si trova in una struttura a Venere, frazione di Pescina. E’ grande ora, dopo due mesi di attività, l’affluenza alla messa. «Spesso alcune persone», racconta il religioso, «sono dovute tornarsene a casa. Prima, durante la settimana, la celebrazione eucaristica si faceva nella cappellina, ora non è più possibile». Ora si sta tentando anche di abbattere quegli steccati che storicamente portano alla rivalità tra le due parrocchie. «C’è collaborazione», spiega don Michelle, «abbiamo svolto insieme le celebrazione per l’arrivo della madonna di Lourd e oggi (domenica 24 febbraio) faremo insieme la funzione di san Gabriele». La stessa cosa accadrà per il Corpus Domini e per la celebrazione del Venerdì santo. In questa chiesa», afferma il parroco, «bisogna rimarginare una ferita ma il tempo che è galantuomo e i residui di malessere e tensione presto saranno superati. Tanta gente è rimasta anche scioccata dalle vicende di Trasacco e molti sono delusi della Chiesa cattolica. Ma ora la gente vuole guardare avanti e alcuni anziani addirittura si commuovono nel vedere la chiesa aperta. Per il futuro bisogna ripartire dai giovani per voltare pagina.
Quella della chiesa di Santa Maria del perpetuo soccorso è una vicenda incredibile e singolare, durata più di un quinquennio. Sono stati anni di proteste, di sommosse popolari, di denunce, di spaccatura e riappacificazioni continue tra il clero e i fedeli, tra la gente e la chiesa. Una vicenda, quella scaturita dalla decisione di chiudere il convento dei cappuccini trasferendo l’ultimo frate rimasto, padre Emilio, che è destinata a rimanere nella storia.
Tutto iniziò il mese di maggio del 2001. Durante il capitolo provinciale dei cappuccini i frati cominciarono a interrogarsi su quali conventi della Regione fosse necessario chiudere a causa della carenza di religiosi. La scelta cadde su quattro conventi tra cui quello di Trasacco, l’unico nel quale, alla fine, l’idea si concretizzò. Il 16 febbraio del 2002 padre Costantino, il frate che da tempo viveva nel convento, morì, lasciando il convento con un frate in meno. Il 22 giugno ci fu l’inaugurazione del campanile. La popolazione vi dedicò tempo, denaro e fatica. Il 20 luglio il comitato si costituì ufficialmente e iniziò una raccolta di firme contro la chiusura del convento. Il 22 dicembre arrivò padre Emilio a Trasacco che rientrò dalla Colombia per occuparsi del convento. Il 10 gennaio 2003 il vescovo Lucio Renna convocò un incontro con il provinciale dei cappuccini alla quale parteciparono i frati dei conventi di Pietracquaria, San Francesco di Avezzano e Padre Emilio.
Il 29 gennaio, a solo poco più di un mese dal suo arrivo, giunse in convento la lettera di trasferimento del cappuccino. Il 20 febbraio la notizia venne resa nota alla popolazione e l’8 giugno ci fu un’assemblea durante la quale il comitato decise di agire in maniera diplomatica. Il 13 giugno il vescovo si recò in paese per parlare con la popolazione. Il 30 luglio il comitato appese una moltitudine di bandiere per le strade del paese riportanti inni e slogan contro la chiusura del convento, sempre più imminente. Il 9 agosto, dopo mesi di proteste, la gente scese in piazza per la prima volta. Venne organizzata una fiaccolata silenziosa lungo le strade del paese. L’undici agosto spuntò un documento del ‘600 che sembrò riproporre con impressionante fedeltà la stessa situazione che si stava verificando.
Il 12 agosto venne inviata dal comitato una lettera al vescovo Renna al quale si chiedeva di non accogliere la restituzione del convento comunicata dal padre provinciale dei cappuccini e di respingere, quindi, l’istanza. Il 22 agosto una nuova fiaccolata sfila per le strade del paese e durante la manifestazione ci sono momenti di tensione dopo l’intervento di don Antonio Saracino, il parroco di San Cesidio, l’altra parrocchia. Il 24 agosto la curia interviene sulla questione rilasciando a “Il Centro” alcune dichiarazioni. «A quale titolo il vescovo dovrebbe intervenire ulteriormente sulla vicenda», spiegarono dalla curia, «visto che si tratta di una decisione dei frati. Quello che per ora il vescovo ha potuto fare l’ha fatto ha pregato, ha implorato le autorità e ha fatto i suoi passi in silenzio e senza reclamizzare il proprio impegno. Ma di fronte all’impossibile non vediamo cosa possa ancora fare».
Il 26 agosto i fedeli iniziano a ritirarsi in preghiera ogni sera alle 21. Il giorno dopo oltre 200 persone si recano a Roma per manifestare in Vaticano. Si susseguirono mesi di dure proteste. Il frate per non essere trasferito venne addirittura murato dentro il convento. Alla fine il religioso fu costretto ad andare via tra una folla in lacrime e delusa. Il convento venne occupato da numerosi cittadini e il 15 marzo del 2004 la polizia alle 4.30 irruppe all’alba nella chiesa occupata . A Trasacco ci furono poi trasferimenti di parroci e in paese arrivò don Duilio testa al quale più volte una muraglia umana impedì di entrare in chiesa. I fedeli volevano ancora i frati. Ci furono denunce e la vicenda si concluse con 62 persone indagate e con numerosi assoluzioni, emesse di recente.
La chiesa risale alla fine del 1500, mentre in tutta l’Italia c’era il flagello della peste. Le città più colpite furono Roma e Milano dove si prodigarono rispettivamente San Filippo Neri e San Carlo Borromeo. I trasaccani ricorsero all’intercessione della Madonna e le edificarono una Cappellina in campagna come auspicio che il male si tenesse lontano dall’abitato. La Cappellina sorse lungo la via per Avezzano, da dove più facilmente poteva arrivare il contagio. Intitolarono la chiesetta alla Madonna del Soccorso cosi come fecero gli abitanti di Tagliacozzo e dell’Aquila. Già da allora, dentro la Cappellina c’erano segni di devozione a San Filippo e a San Carlo. Passato il pericolo della peste, si pensò a trasformare la Cappellina in chiesa. Il titolo rimase, come emerge da un estratto dei Decreti emanati dal Vescovo Muzio Colonna nella Visita Pastorale fetta nel luglio del 1632. Forse la certezza che la peste si fosse allontanata per sempre fece affievolire il primitivo titolo e subentrò contemporaneamente il secondo, originato dal nome della località: Macerola. I fedeli rimasero delusi di fronte alla decisione del vescovo Ascanio di aggregare la chiesa di Santa Maria di Macerola alla chiesa principale. Sapevano per esperienza come si sarebbe messa la situazione. Inoltre si verificò proprio in quel periodo una serie di calamità davvero sconvolgenti. Trasacco era uscita indenne dalle varie ondate di peste alla fine del 1500 e all’inizio del 1600, ma il pericolo era alle porte. Nel 1647 si verificò una grave inondazione del Fucino che sconvolse tutta la piana coltivata. Poi la peste del 1656 fece nella Marsica circa 3.000 vittime. Così la serie ininterrotta delle calamità spinse la pietà popolare a rivolgersi alla Madre di Dio, a invocarla col primitivo titolo di “Madonna del Soccorso”.
PARROCCHIA SANT’ANTONIO DI PADOVA A CAPISTRELLO (1 marzo 2008)
Una sola parrocchia per un intero paese. Quella di Sant’Anotonio di Padova, oltre a essere ai confini della diocesi, è una delle più grandi della Marsica con oltre 5mila abitanti. A guidare la comunità è don Antonio Sterpetti, parroco da 32 anni. Negli ultimi decenni sono stati numerosi gli interventi strutturali sulle 5 chiese della parrocchia. Oggi l’obiettivo è avvicinare i giovani alla Chiesa.
«Arrivai in paese il primo gennaio 1976», ricorda don Antonio, che per tanti anni ha ricoperto importanti incarichi nel mondo della formazione, lavorando anche nel mondo della scuola. E’ stato per otto anni vicerettore del seminario, direttore dell’Istituto di scienze religiose di Avezzano e insegnante di Storia della chiesa, ha insegnato alle scuole medie di Capistrello, al Liceo scientifico di Avezzano e all’inizio della sua carriera di decente anche ai Geometri e a Ragioneria. «Arrivai in un momento particolarmente difficile per il paese», ricorda don Antonio. Infatti ad agosto dell’anno precedente a Capistrello c’era stata una rivolta che aveva portato al trasferimento dell’allora parroco. La gente, più o meno come sarebbe accaduto a Trasacco quasi trent’anni dopo, presidiava la chiesa per evitare che persone indesiderate si avvicinassero. Ci furono tre mesi di sede vacante e poi arrivò il nuovo parroco. Prima di lui c’erano stati don Vincenzo Di Giovambattista, prima ancora don Francesco Apolloni e il fratello don Domenico. «Nonostante ci fosse una situazione delicata», racconta il sacerdote, «fui accolto bene. Iniziai subito a dedicarmi a tutte le attività pastorali e alla cura degli edifici sacri». Capistrello deve la sua economia all’emigrazione, non solo in Italia, ma anche nei Paesi esteri, come medio oriente. Non ci sono nel mondo grandi opere dove non abbia lavorato almeno un operaio di Capistrello, in Africa, in America del Sud, in Estremo Oriente. «Moltissime gallerie e autostrade di tutto il mondo realizzate negli anni ’50 fino agli ’80», spiega don Antonio, «hanno visto la presenza di operai di questo paese. Ci sono stati molti incidenti mortali o nei quali gli operai hanno riportato feriti gravi». Dopo l’avvento di Tangentopoli i lavori all’estero sono diminuiti e oggi la maggior parte degli operai di Capistrello sono impiegati nelle aziende che lavorano in cantieri italiani. Molti di quegli operai contrassero la silicosi. C’erano situazioni in cui erano costretti a lavorare in condizioni terribili, in profondità, con acqua che arrivava all’altezza del petto. La parte più vecchia del paese gradualmente si va spopolando e sorgono costruzioni verso Avezzano. Metà paese è completamente nuovo. Anche per questo, la chiesa più affollata non è Sant’Antonio, ma quella di San Giuseppe, più centrale, e dove si celebra una delle messe domenicali, che ci sono alle 8 alle 10 e alle 17. Ad aiutare don Antonio nelle celebrazioni c’è don Emidio Cipollone. In questi anni il parroco, oltre a portare avanti l’intensa attività pastorale, si è dedicato a seguire i lavori per la ristrutturazione delle numerose chiese. Oggi il sogno del parroco è di avvicinare alla Chiesa i giovani di tutte le età. «Riusciamo a seguire i ragazzi fino a 14 anni con il catechismo, poi vanno a scuola ad Avezzano e sfuggono al controllo della parrocchia e della famiglia». A Capistrello ci sono anche problemi di droga tra i giovani, e soprattutto di alcol tra i minorenni. Tempo fa anche il sindaco fu costretto a fare un’ordinanza per ribadire ai locali il divieto di vendita di alcolici ai più giovani.
L’attività pastorale della parrocchia di Sant’Antonio è molto ricca e variegata. Basti pensare alle numerose confraternite, all’azione cattolica femminile, che conta più di cento persone, e all’attività di catechismo per i ragazzi. Ma una delle peculiarità del paese è uno spiccato senso artistico e musicale della popolazione che porta ad avere in paese numerosi cori polifonici.
Tra le confraternite c’è quella antichissima di Sant’Antonio, patrono del paese. Poi c’è quella di “Nostra Signora”, ricca di tradizioni e storia. Tra i gruppi, però,spicca quello dell’Azione cattolica donne. Il gruppo è composto da oltre 100 persone che svolgono ruoli in tutti i settori, non solo in quello religioso. Collaborano nell’attività sociale e di volontariato, assistendo i poveri, i malati, gli anziani e organizzando gite turistiche anche all’estero. Animano anche le funzioni religiose sotto la direzione del maestro Antonio Stati. Il presidente dell’Ac donne è Gilda Liberati, mentre Antonia Nardi è la vicepresidenti, Giuditta Martini e Antonina Salustri le cassiere e Norma Lusi e Stefania Ferri le segretarie. Il gruppo sta organizzando in questi giorni un concerto musicale con artisti di Avezzano che è in programma per la domenica delle palme nella chiesa di San Giuseppe. E’ stato acquistato in questi anni un grandioso organo a canne nella chiesa di Sant’Antonio, tra i migliori della zona, tutto grazie a contributi statali ma soprattutto alle offerte dei cittadini. Il promotore è stato Antonino Lusi. Per quanto riguarda il catechismo i ragazzi che frequentano i corsi sono quasi 200. A loro si dedicano 22 catechiste: Luigina Baruffa, Giulia Bianchi, Dina Bussi, Enrica Capodacqua, Gina Coviello, Antonella Di Giacomo, Maria Teresa Di Leonardo, Emilia Fabiani, Maria Frabotta, Giannina Gemmiti, Norma Lusi, Giovanna Mariani, Giuditta Martini, Maria Loreta Musichini, Lia Palleschi, Claudia Papa, Maria Persia, Domenica Salvati, Rosa Stati, suor Elisabeth, Suor Gina e Suor Albertina. Collaborano, infatti, nell’attività pastorale della chiesa anche le suore “Piccole operaie del Sacro cuore”, in paese dal 1948. Po c’è in parrocchia il gruppo del coro giovanile di Sant’Antonio, la corale polifonica Monte Arezzo (nella foto) diretta dal maestro Bruno Stati. In paese la festa più importante è quella dedicata al patrono, Sant’antonio di Padova, che si tiene ogni anno nei giorni 11, 12 e 13 giugno. Ci sono poi la squadra di calcio amatori, la proloco, il gruppo alpini e banda locale. Una realtà quella di Sant’Antonio, dunque, ricca di associazioni, fiorente e dinamica.
Le chiese che fanno parte della parrocchia sono numerose. Oltre alla monumentale e recentemente restaurata chiesa di Sant’Antonio, che si trova nella zona vecchia del paese, c’è la più moderna chiesa di San Giuseppe, nella zona centrale. Si tratta della chiesa più utilizzata per questioni di comodità. Poi c’è la chiesa di Santa Barbara, legata ai lavori per il prosciugamento del Fucino, quando fu utilizzata per l’assistenza agli operai addetti ai lavori. Fu inaugurata nel 1859 e restaurata nel 1990. Poi ci sono Santa Marisa del Monte a confine tra Capistrello, Corcumello e Castellafiume, in alta montagna, dove si celebra la messa nel mese di maggio. E infine la chiesa della Madonna Assunta, lungo la strada per filettino, dove si tengono liturgie per le grandi solennità religiose nel mese di agosto.
PARROCCHIA DI SANTA LUCIA A MAGLIANO DEI MARSI (8 marzo 2008)
Il viaggio nelle parrocchie della Marsica è arrivato a una tappa importante. La chiesa di Santa Lucia, guidata dal parroco monsignor Domenico Ramelli, è una realtà vivace e in continuo sviluppo ma anche ricca di tradizioni. E’ una chiesa attenta ai bisogni delle nuove generazioni, ma allo stesso tempo intenta a salvaguardare i valori della famiglia e a lavorare per far fronte alle problematiche sociali del paese. Nonostante si tratti di una comunità di soli 3.400 abitanti, di cui oltre 250 immigrati, i gruppi parrocchiali e le associazioni sono più di 40. Stupisce, infatti, la ricchezza di iniziative e di gruppi di volontariato, pastorali e ricreativi legati alla chiesa. Il paese, anche da un punto di vista demografico, è in costante crescita. Negli ultimi anni c’è stata una maggiore attenzione all’evangelizzazione e l’obiettivo per il futuro è quello di vedere la parrocchia punto di riferimento dell’intero paese.
Una chiesa attenta ai bisogni delle nuove generazioni, intenta a salvaguardare i valori della famiglia, sensibile alle problematiche sociali che interessano il paese. E’ la parrocchia di Santa Lucia, guidata da circa 16 anni da monsignor Domenico Ramelli. La chiesa, negli ultimi tempi, è diventata punto di riferimento e di aggregazione per gli abitanti del comune marsicano.
Il paese, frazioni escluse, conta quasi 3.400 abitanti e la popolazione è in costante crescita. Gli immigrati residenti sono più di 250 e la maggior parte si è inserita nella comunità parrocchiale. «Arrivai in paese nel 1992», racconta il parroco di Santa Lucia, «e sostituii don Antonio Sciarra che nel corso della sua attività pastorale, oltre al volontariato, aveva attuato il Concilio vaticano II. Non è facile», spiega don Domenico, che da molti hanni ricopre il ruolo di vicario vescovile, «parlare di una realtà parrocchiale perché quello che si vede è sempre la minima parte rispetto a una realtà dove il sommerso prevale. Dal mio arrivo in paese», racconta, «il rapporto e la collaborazione con tutte le realtà maglianesi sono sempre stati buoni. Esistono a Magliano tanti aspetti positivi culturali, artistici e sociali, è una realtà dinamica e in costante evoluzione». Il paese, anche da un punto di vista demografico, è in crescita. «Per quanto riguarda gli aspetti pastorali», continua, «nella religiosità locale c’è la presenza di elementi tradizionali, ma col tempo stiamo cercando di dare una maggiore attenzione all’evangelizzazione. Come altrove, si chiedono servizi religiosi e non sempre si ha la pazienza e l’attenzione a viverli in profondità». C’è inoltre una buona collaborazione tra i sacerdoti del paese. Secondo don Ramelli, uno dei compiti importanti della chiesa e delle parrocchie è anche quello di andare incontro ai bisognosi e avere un occhio attento nei confronti delle povertà vicine e lontane. Per questo l’attività di volontariato rivolta ai poveri locali, ma anche alla povertà nel terzo mondo è molto intensa. La Caritas parrocchiale, in collaborazione con le iniziative del Comune, cura l’inserimento di coloro che provengono da altre nazioni, senza trascurare le povertà tra i residenti. Numerose sono anche le occasioni di fraternizzazione e di incontro. La parrocchia ha puntato in questi anni alla coesione del paese e a portare alto il valore della famiglia. «Ci sono molte coppie che vivono delle difficoltà», spiega don Domenico, «e per questo al primo posto c’è la famiglia». Viene organizzato in parrocchia il corso di preparazione al matrimonio e incontri per le giovani coppie. Ma a volte, secondo il parroco, le difficoltà delle giovani coppie e dei nuclei familiari vanno ricercati anche nei problemi sociali che non permettono che a volte enfatizzano incomprensioni e divergenze tra i coniugi. Una delle problematiche più sentite dalla popolazione è quella legata alla disoccupazione, soprattutto giovanile. «Queste difficoltà», afferma il sacerdote, «si ripercuotono anche nella struttura umana e profonda dei giovani. E proprio riguardo ai giovani, oltre al catechismo sono numerose le iniziative: Azione cattolica, Banda, Centro di aggregazione giovanile, Polisportiva, gruppi musicali ed escursionistici. Il sogno di don Domenico è quello di vedere un giorno la parrocchia punto di riferimento dell’intero paese.
Quello che stupisce di più della realtà pastorale maglianese è la ricchezza di iniziative e di gruppi di volontariato, pastorali e ricreativi. Sono più di 40 le realtà che orbitano intorno alla parrocchia di Santa Lucia e le attività sono in continua crescita. Il parroco divide tali attività associative in tre grandi filoni: evangelizzazione, santificazione e testimonianza della carità e volontariato.
Per quanto riguarda l’evangelizzazione c’è il gruppo di catechisti e scuola catechistica “Madre Teresa Lattanzi”, guidato da suor Donata. Poi ci sono l’Aci per ragazzi, giovanissimi, giovani, adulti, il cui responsabile è Alberto De Santis, il Cammino formativo Adulti (responsabili coniugi D’Alessando-Iucci e Bizzarri-Di Luzio), il Gruppo Biblico, guidato dal parroco, il Gruppo pastorale dei malati anziani (Paolo, Ambrogia, e le suore), il Gruppo catechesi per i battesimi (una suora e Mimina), Corso di preparazione dei nubendi (coniugi Bizzarri), Ordine francescano secolare (Tersilia Maurizi), gruppo “Movimento dei Focolari” (coniugi Bianchini). Il settore liturgico, coordinato dal parroco si avvale di una ventina di ministranti, coordinati da suor Nicolina, Maurizio Seritti e Americo Tangredi, coro domenicale e coro per le solennità (Alberto, Arnaldo, Roberto, Luigi), Confraternita del santissimo Sacramento (Luigi, Cesare, Vittorio), Lodi e Vespri (Antonio Morgante e famiglia Bizzarri), Gruppo vedove (Abrogia e Luigina), Apostolato della Preghiera (Maria Grazia Morgante e Lina Angeloni), gruppo Zelatrici (Lucia Pezza), Gruppo di Preghiera Padre Pio (Angela Colabianchi), Compagnia della santissima Trinità (Armando Scipioni), Decoro della Chiesa (Zena Rau), testimonianza della Carità e volontariato, Caritas Parrocchiale (Roberta Di Girolamo), Unitalsi (Antonietta Laurizi), confraternita di Misericordia (Vittorio Rau), Fratres (Carlo Santoponte), gruppo Alpini (Giorgio Petricca), Cooperativa Agricola Bacino Alto Salto (Gianfranco Iacoboni), Gev Idrofono e Geomont (Achille Fontani), Arte92 (Patrizia Del Gallo), Centro Comunale Anziani (Mario), la Banda (Rossana Sacchetto), Pro Loco (Franco Scafati), associazioni sportive e ricreative: Polisportiva e Bocciofili. Numerose anche le associazioni che si occupano prevalentemente di volontariato e di attività socio-ricreative. Associazione nazionale alpini, Associzione eucaristica “rimani con noi”, Circolo Anziani, associazione anziani “Gioia di vivere”, “Nuovi Sentieri”, Nucleo operativo volontari della Protezione civile. Oltre al parroco della chiesa di Santa Lucia, don Domenico Ramelli, altri religiosi portano avanti in paese l’attività pastorale: don Vincenzo Angeloni nella chiesa di Santa Maria ad Nives, padre Beniamino Di Rocco nella chiesa di San Domenico, le suore “Adoratrici del Sangue di Cristo”, le suore Francescane di San Filippa Mareri. Ci sono poi due Accoliti, tre ministri ausiliari della Comunione. Ma l’attività della chiesa organizzata anche grazie a un efficiente lavoro degli organismi parrocchiali. A Santa Lucia ci sono il Consiglio pastorale parrocchiale, il Consiglio per gli affari economici, la Caritas parrocchiale, il Consiglio parrocchiale di Azione Cattolica, la Commissione per i Beni Culturali e Archivio.
La parrocchia più antica del paese è quella di San Martino. Nel diploma di collazione al Cardinale Orsini della badia di Santa Maria in Valle Porclaneta, nel 1353 si legge: “Nos Petrus Iacobus de Malleano de Cartio, annualis Iudex ipsius Castri Cartii”. L’ultimo parroco fu Bernardo di Pinerolo, investito dal vescovo Bernardo il 2 novembre 1564. Per quanto riguarda la chiesa di Santa Lucia, invece, un importante atto risale all’8 maggio 1608. Si tratta di un documento che prevede la cessione della chiesa di San Martino ai frati di S. Francesco, per la devozione alla beata Maria Vergine e per edificarvi un Convento. Il titolo di parrocchia passò alla così alla chiesa Santa Lucia. San Martino rimase come protettore dei Canonici. Un importante ritrovamento, rimasto per secoli proprio sulla pietra centrale del portale di Santa Lucia, ha unito definitivamente il destino delle due chiese. Nel 2003, nel corso di un sopralluogo per lavori di restauro, è spuntato un affresco che ritrae la Madonna, al centro, affiancata da San Martino a destra e Santa Lucia a sinistra. Le altre chiese di pertinenza della parrocchia sono Santa Maria ad Nives, con titolo di parrocchia e con servizio di cappellania, Santa Maria di Loreto, riaperta al culto a dicembre del 2003, la chiesa dedicata al Nome di Maria (dei Caduti). Le altre strutture religiose non di proprietà parrocchiale sono la chiesa di San Domenico, con convento annesso, e servizio di cappellania, la Scuola materna “Masciarelli” delle Adoratrici del Sangue di Cristo con Cappella interna, la Casa di salute “L’immacolata” con cappella interna.
E’ tutto pronto per l’evento-spettacolo di musica preghiera e testimonianza che darà il via nella Marsica ai preparativi per la XXIII Giornata mondiale della gioventù. La manifestazione, che si terrà sabato prossimo, sarà presentata, nel corso di una conferenza stampa martedì a mezzogiorno nei locali della curia vescovile, alla presenza del vescovo, Pietro Santoro e dei responsabili della pastorale giovanile diocesana.
La Giornata Mondiale della Gioventù si terrà dal 15 al 20 luglio 2008 a Sydney, in Australia. È la prima volta che l’Incontro mondiale della Gioventù, il più grande evento ecclesiale dedicato ai giovani, viene organizzato in Oceania, mentre è la seconda volta per l’emisfero australe dato che la II Giornata Mondiale della Gioventù fu celebrata a Buenos Aires nel 1987. L’incontro dei giovani con il Papa si terrà nell’Ippodromo di Randwick. Il tema dell’incontro sarà “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni”. L’Australia fu infatti chiamata dai primi esploratori europei: “La Grande Terra del Sud dello Spirito Santo”. Giovanni Paolo II, visitando l’Australia nel 1986 , riguardo il periodo della colonizzazione di questa terra, disse: «Fu il potere dello Spirito Santo a sostenere il popolo cristiano nei primi giorni della colonizzazione e a mantenerlo fedele alle tradizioni della sua fede».
PARROCCHIA DI SANTA VITTORIA A CARSOLI (15 marzo 2008)
Una chiesa giovane, alla ricerca di una nuova identità che punti al coinvolgimento nella comunità religiosa delle nuove generazioni. La parrocchia di Santa Vittoria, l’unica in tutto il Comune, guidata da don Claide Berardi, è il punto di riferimento di un paese in crescita e a volte smarrito a causa di sviluppo industriale ed economico repentino e spesso incontrollato.
La realtà di Carsoli è ricca di attività sociali ed è in costante crescita demografica. Il parroco, originario di Villa San Sebastiano di Tagliacozzo, è arrivato a Santa Vittoria a settembre del 2000, prima di lui c’era stato don Bruno Innocenzi, ora a Tagliacozzo, e prima ancora don Antonio Santucci, poi divenuto vescovo emerito di Triveneto. Ma del carseolano è originario anche il cardinale Fiorenzo Angelini, che è stato presidente emerito del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. I suoi genitori erano di Poggiocinolfo, frazione di Carsoli. Sono più di tremila gli abitanti che fanno capo a Santa Vittoria. «Si tratta di una parrocchia giovane», spiega don Claide, che insegna al Liceo classico Torlonia di Avezzano, «c’è lavoro grazie alla presenza del secondo polo industriale del territorio e le famiglie più giovani restano in città. Altre arrivano da fuori o dal circondario. Con l’arrivo di questi nuovi nuclei familiari», aggiunge il parroco, «il paese in espansione, anche se ultimamente si risente un po’ della crisi generale». La tradizione e l’identità del paese, infatti, ha volta rischiano di essere anonima e non è facile trovare in paese una persona del posto. A Carsoli c’è un benessere abbastanza diffuso. «Il problema», sottolinea don Calide, «è che lo sviluppo è arrivato in modo repentino e c’è stato uno squilibrio tra crescita sociale ed economica». Anche per questo motivo, secondo il parroco, «è molto difficile “sfondare” tra i giovani, coinvolgere di più le nuove generazione». Molto è stato fatto negli ultimi anni, ma il lavoro è ancora tanto. «La gente è buona e molto sensibile al sociale», spiega don Calide, «è molto attiva nel volontariato e la realtà in paese e viva e in continua evoluzione. Le difficoltà maggiori ci sono però proprio per quanto riguarda l’impegno all’interno della parrocchia». Ma un grande lavoro viene svolto anche tra gli adulti e alcune realtà che coinvolgono le famiglie hanno preso piede negli ultimi anni.
Ma in paese non mancano i problemi, come quelli legati allo spaccio di droga tra i giovani e a fenomeni di criminalità dovuti alla vicinanza con la Capitale. «Le forze dell’ordine sostengono che ci siano sul territorio molti problemi di droga», spiega il parroco, «ma non credo che sia una situazione peggiore rispetto ad altre zone». Secondo il sacerdote, inoltre, «di fenomeni di criminalità ce ne sono meno che in passato». La vera missione della parrocchia è oggi quella di coinvolgere i giovani e di avvicinarli alla Chiesa cattolica. Nonostante la presenza di numerose attività, molte delle quali rivolte alle nuove generazioni, la chiesa di Santa Vittoria non è ancora il punto di riferimento per i giovani. «C’è da continuare il lavoro nella catechesi», ha sottolineato il parroco, «ma questo non basta e siamo alla ricerca di nuove azioni per rendere i ragazzi parte integrante e responsabile del futuro della Chiesa e della società locale».
Un’intensa attività di catechesi per gli adulti e per i ragazzi, ma anche un occhio attento al sociale e alle iniziative ricreative. Sono le caratteristiche che contraddistinguono la parrocchia di Santa Vittoria. Oltre alla formazione dei giovani e della famiglie, sono numerosi i progetti legati alla solidarietà per il Terzo mondo e per le missioni in Africa. Iniziative portate avanti anche dai gruppi giovanili.
A Carsoli l’adozione a distanza è una realtà consolidata. In parrocchia si è costituito il “Gruppo di animazione missionaria”. E’ formato da ragazzi che hanno “adottato” alcuni bambini in difficoltà che si trovano in Messico, ma soprattutto in Eritrea, dove la situazione economica del Paese è drammatica. La nuova guerra con l’Etiopia, scoppiata all’improvviso nel 1998, ha infatti interrotto drammaticamente il processo di sviluppo, facendo ripiombare il paese nell’emergenza a causa di centinaia di migliaia di profughi. Gran parte dei giovani di 18 anni sono stati arruolati. Inoltre, per le ricorrenti siccità, secondo una stima dell’Onu, oltre il 67 per cento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà e oltre un milione e mezzo di persone sopravvive grazie all’aiuto alimentare internazionale. Il “Gruppo di animazione missionaria” di Carsoli è convinto che l’adozione a distanza sia uno strumento utile a permettere, a una parte di giovani, di proseguire gli studi per cambiare in futuro la situazione del Paese. Anche la confraternita del Santissimo Sacramento, che si è ricostituita nel 2002, oltre a svolgere attività di formazione personale e animazione liturgica, si occupa delle iniziative missionarie e, con l’autotassazione, ha avviato altre adozioni a distanza. Molto intensa, inoltre, l’attività di catechismo che vede la partecipazione ai corsi di circa 200 ragazzi tra cresime e comunione. Numerose anche le attività dell’Azione cattolica adulti, che sta tentando di ricostituire l’Acr, cercando di coinvolgere i giovani nelle iniziative. L’associazione svolge anche attività di carattere sociale e dedicate alle persone anziane e malate.
Per quanto riguarda la formazione degli adulti, un folto gruppo di parrocchiani ha iniziato, sotto la guida del parroco, degli incontri di meditazione con la “lectio divina”. Per quanto riguarda l’animazione, a Carsoli è nata una realtà singolare e che potrebbe aprire la via a iniziative simili. In seguito ad alcune attività svolte a livello foraniale, infatti, c’è stata l’idea di costituire, alcuni anni fa, un coro interparrocchiale, denominato “Piana del Cavaliere” e diretto dalla maestra Giulia Rossi. In parrocchia lavora anche la Caritas parrocchiale, che si occupa di far fronte alle necessità di persone indigenti. Encomiabile è il lavoro degli attivissimi volontari della sezione Croce rossa sezione di Carsoli, che svolge servizio di pronto soccorso e 118. Molto attivo anche il Gruppo alpini che svolge numerose iniziative nel corso dell’anno. Numerose le attività delle suore che fanno capo alla comunità di “Sant’Anna della provvidenza”. Nel convento di Carsoli ci sono tre religiose: suor Lisangela, che è la superiora, suor Maura e suor Gerardina, che è a Carsoli da circa 40 anni. Don Claide Berardi viene coadiuvato nell’attività pastorale dal viceparroco, don Cristofaro Dulchiwski, arrivato da una diocesi polacca in Italia per finire gli studi.
La chiesa di Santa Vittoria, fondata da Carlo I o II d’Angiò all’inizio del XVI secolo nella piazza del Borgo di Carsoli, fu ampliata successivamente dall’Università, che mantenne la parola data al principe Marcantonio Colonna, agli inizi del secolo XVI. E’ stata ridotta a croce latina ed é una delle più grandi che abbia la Diocesi dei Marsi. Sembra che l’antica chiesa fosse a croce greca, perché più larga che lunga. Pare, inoltre, che un aristocratico di nome Guglielmi, possessore della fabbrica contigua alla chiesa, donò un orticino per l’ingrandimento della chiesa. La struttura ha otto cappelle oltre all’altare maggiore, con uno spazioso coro,. L’altare del Rosario e della Decollazione di San Giovanni, è di buon livello artistico, l’altare del Suffragio é della Confraternita di cui porta il nome, aggregata all’arciconfraternita di Roma. Anche la torre campanaria fu ingrandita e sopraelevata. Il pulpito è stato realizzato da Gervasi di Collo, mentre la facciata è in stile medievale. Tra le chiese che fanno capo alla parrocchia ci sono quella del Carmine, ricostruita dopo la guerra, e un piccolo santuario mariano, della Madonna delle rose. Un’icna conservata nel museo diocesano di Celano data la struttura 1300. C’è poi la chiesa di Santa Maria in Cellis, che dal 1050 al 1056 sembra si staccò dalla diocesi dei Marsi, costituendo quella i Carsoli con il vescovo Attone, figlio del Conte dei Marsi Oderisio II. Secondo un’altra ipotesi, in realtà la sede episcopale fu istituita non a Santa Maria in Cellis, ma nella vicina Sancta Maria in Carseolo posta sulle rovine della vecchia città romana di Carseoli.
PARROCCHIA DEI SANTI COSMA E DAMIANO A TAGLIACOZZO (29 marzo 2008)
E’ la chiesa madre della città, senza dubbio la più antica e ricca di memorie, opere e tradizioni. La chiesa dei Santi Cosma e Damiano, però, negli ultimi decenni ha dovuto fare i conti con un progressivo spopolamento della zona. Ma se da un lato i fedeli sono diminuiti, il culto e la devozione, come ha sottolineato il parroco, don Bruno Innocenzi, non accennano a indebolirsi.
A dimostrazione dell’intenso rapporto tra la popolazione e la chiesa è la grande partecipazione per una tradizione senza tempo, che acquista ogni anno un fascino sempre nuovo: l’antichissima festa religiosa della “Benedizione” che viene celebrata oggi, come ogni anno, in onore del Volto Santo di Gesù. L’acqua schizza in alto dalla fontana dell’Obelisco e i bambini al suono festante della banda alzano verso il cielo durante la benedizione i “cavallucci” e le “colombelle”, dolci tipici preparati dalle suore di clausura. E’ sì un rito religioso, ma anche una festa civile che cade da secoli nel giorno della domenica in Albis, la prima domenica dopo Pasqua. Oggi, ancora una volta, quel momento magico e sacro tornerà ad affascinare migliaia di persone. Nella clausura le monache custodiscono durante l’anno l’antichissimo quadro raffigurante il Volto di Gesù. Pare che sia rimasto impresso sul panno della Veronica durante l’incontro sulla via del Calvario. Il quadro sarebbe una delle rarissime copie di quello “ufficiale”, conservato nella Basilica Vaticana. Sul retro, infatti, si può leggere l’iscrizione: “Questa Sacrosanta Immagine l’ha toccata il Sacratissimo Volto Santo di Nostro Signore Gesù Cristo che si conserva nella Basilica Vaticana in Roma ed è la sua vera effige”. Secondo una delle teorie più accreditate, la preziosa immagine venne donata dai Duchi Colonna alla Città di Tagliacozzo, disponendo che fosse custodito nel Monastero delle Benedettine. Il rituale della festa ha inizio il sabato, quando le monache consegnano al sindaco della città la sacra immagine conservata in un quadro. Durante la messa il primo cittadino, ricevuta dalle mani della madre Badessa l’effige, la espone alla pubblica venerazione in una apposita “raggiera” di legno dorata finemente decorata e sormontata da una corona, poi chiude a chiave la teca e diviene unico custode del quadro. Montano la guardia ufficiale e fanno da scorta la polizia municipale e i carabinieri della locale compagnia, tutti in alta uniforme. La domenica si svolge una solenne cerimonia eucaristica officiata, insieme al parroco e a tutti i sacerdoti che operano a Tagliacozzo, da un alto rappresentante del clero. Poi inizia la solenne processione che percorre le vie dell’antico borgo e arriva in piazza Obelisco. È qui che questa mattina si rinnoverà il tradizionale rito della “Benedizione”. Il sindaco estrae il quadro dalla teca e lo affida a uno dei sacerdoti che lo hanno trasportato in processione. Secondo una vecchia tradizione il sacerdote dovrebbe essere nato a Tagliacozzo. Dall’alto di un balcone, mentre il sacerdote sorregge il quadro, dopo l’omelia viene impartita la solenne benedizione. In quel frangente avviene, con la musica della banda e il suono delle campane come sottofondo, la “benedizione”.
L’antica chiesa dei Santi Cosma e Damiano, malgrado i furti e le spoliazioni di cui è stata oggetto nei secoli, è ricca di opere. E’ citata sotto varie denominazioni in diplomi carolingi ed ottoniani dei secoli VIII e X. Sicuramente la chiesa originaria era molto più piccola dell’attuale, ma rimane un mistero la sua collocazione. Le ipotesi sono due: all’interno del complesso monastico adiacente, dove esiste una cantina chiamata “la chiesa vecchia”, o già allora all’esterno, in posizione simile all’attuale. Del resto, la chiesa, come ha sottolineato lo storico Fernando Pasqualone, ha subito nel corso dei secoli tanti e tali rimaneggiamenti da rendere estremamente difficoltoso ogni tentativo di fissarne con documentata sicurezza le fasi costruttive. La pianta attuale è a croce latina, anche se il braccio sinistro del transetto è ormai chiuso e inglobato nel monastero, creando un forte squilibrio degli spazi interni. Chiesa e monastero furono assegnati fin dall’epoca ottoniana ai Benedettini di Montecassino, che vi insediarono un gruppo di suore di clausura, e a tale ordine rimasero soggetti, malgrado una secolare disputa con la diocesi dei Marsi circa la giurisdizione sul complesso. Numerosissimi sono i documenti in cui si parla di tale controversia, come di altre in cui le suore difendono i diritti di proprietà del monastero e della chiesa contro vari tentativi di usurpazione. Il più antico risale al 21 gennaio 1171, ed e una bolla di Alessandro III con la quale il pontefice accoglie la richiesta della badessa Audoisia perché il monastero sia assoggettato all’autorità diretta del papa e non a quella del vescovo dei Marsi.
PARROCCHIA DELLA SANTISSIMA TRINITA’ SCURCOLA MARSICANA (12 aprile 2008)
Una chiesa che lotta contro lo spopolamento e che spera nei giovani. La parrocchia della santissima Trinità, guidata da un giovane parroco, don Nunzio D’Orazio, racchiude in sé antiche tradizioni del passato, ma allo stesso tempo è impegnata in un rinnovamento della comunità, in un ammodernamento spirituale che tenga però ben saldi gli originali e sani valori della chiesa cattolica.
E’ l’unica parrocchia del piccolo comune palentino. Oltre alla chiesa della Santissima Trinità comprende quella di Santa Maria della Vittoria, a cui la popolazione è molto legata, Sant’Egidio, Sant’Antonio e l’Immacolata concezione. Il paese, in passato prettamente agricolo e legato all’allevamento, oggi conta circa 1.800 abitanti. Negli anni Settanta, con l’arrivo del centro commerciale di Cappelle dei Marsi la situazione è cambiata anche se l’attività rurale non si è estinta. Don Nunzio arrivò a Scurcola nel 1990, sostituendo don Carlo Grassi. «Da allora il paese ha subito un progressivo spopolamento», ha spiegato, «nonostante ci sia stata una costante espansione urbanistica». Ma un altro problema riguarda l’invecchiamento della popolazione, naturale conseguenza dello spopolamento. A dare un po’ di problemi, inoltre, secondo il parroco, ci sono anche la secolarizzazione e la modernità. «Il paese», sottolinea don Nunzio, «è caratterizzato da un po’ di virtù antiche e molti vizi moderni». Il legame con il passato e le tradizioni in paese è però ancora molto forte. Il livello culturale medio del paese negli ultimi decenni si è innalzato notevolmente ma quello che spera il parroco è che l’esodo inarrestabile dal piccolo centro immerso nei Piani Palentini si arresti, «magari con il potenziamento dei collegamenti con Roma», afferma, «oppure con lo sviluppo del commercio e l’aumento dei posti di lavoro sul territorio». Il sogno di don Nunzio è quello di avere una chiesa sempre più giovane, coinvolgendo in maniera sempre più intensa le nuove generazioni che decideranno di trascorrere la loro vita in paese. L’attività pastorale è molto intensa e la parrocchia pullula di gruppi e associazioni. C’è l’Azione cattolica, molto attiva e che organizza numerose iniziative nel corso dell’anno e c’è il coro della parrocchia, formato soprattutto da giovani e che anima le liturgie nelle festività e la domenica. Il gruppo di preghiera diretto dal parroco è molto frequentato, così come quello che si occupa della formazione religiosa che fa capo alle suore Maestre pie filippini. La congregazione si trova in paese da ben due secoli e proprio quest’anno festeggerà duecento anni dall’insediamento a Scurcola. La realtà legata agli antichi gruppi religiosi è molto viva in parrocchia. Sono quattro le confraternite: Santissimo sacramento, Santissima trinità, San Berardino da Siena e del Suffragio delle anime sante. Numerose anche le attività culturali e le associazioni di volontariato e ricreative. La più attiva è l’associazione italotedesca, gemellata con Passau Hals, la diocesi di origine di papa Benedetto XVI. L’intenso scambio culturale e religioso va avanti dal 1990. Orbitano intorno alla parrocchia, inoltre, la banda musicale e la Schola cantorum Vincenzo De Giorgio.
PARROCCHIA DI SAN GIOVANNI BATTISTA A LUCO DEI MARSI (19 aprile 2008)
E’ una parrocchia che ha, come afferma il parroco, «nostalgia di un volto», quello di Cristo, quello della comunità cristiana. La chiesa di San Giovanni Battista, come ha spiegato don Michele Morgani, «è sempre alla ricerca di quel volto, che non basta mai, e che cerca di entrare dentro ognuno di noi». Il paese conta circa 1.500 abitanti, più un migliaio di extracomunitari.
Don Michele arrivò a San Giovanni nel 1986, dopo don Augusto Bifaretti, per guidare una delle comunità più grandi della Marsica visto che a Luco c’è una sola parrocchia per tutto il paese. «Allora», racconta il parroco, l’agricoltura era il lavoro di tutti, a parte la cartiera e lo zuccherificio. Poi è arrivata la Micron ed è finito lo zuccherificio. I ragazzi», spiega, «lavoravano nell’azienda di famiglia, ora invece seguono la via dello studio e c’è disoccupazione. I nonni comprarono la terra, i padri la lavorarono e oggi i figli la lasciano». Ma ancora oggi Luco è uno dei paesi con più agricoltura di tutta la Marsica e i problemi del Fucino si risentono in paese enormemente, di più rispetto ad altre realtà. «Quando arrivai io», ricorda il parroco, «questo era uno dei paesi economicamente più ricchi della zona. A 20 anni i ragazzi mettevano su famiglia perché potevano contare su un lavoro sicuro,quello della terra, e su una stabilità economica. Oggi si sposano a 35 anni». Ma Luco è anche il paese marsicano che ospita più immigrati. Gli immigrati residenti sono, infatti, circa mille. «Le donne che lavorano a giornata nei campi non ci sono più», afferma don Michele, e gli immigrati hanno preso il loro posto nel settore agricolo, mentre le donne lavorano come badanti». A favorire l’insediamento degli immigrati con il permesso di soggiorno è stata anche una politica di accoglienza del Comune finalizzata a regolamentare il mercato degli affitti, costringendo i residenti ad offrire locali idonei agli immigrati. «I residenti», sottolinea don Michele, «sono persone ospitali e hanno accolto gli immigrati in maniera fraterna». Ma Luco è anche il paese delle tradizioni una delle quali è unica nel suo genere e riguarda la devozione per lo Spirito Santo. Riguarda “I sette signori dello Spirito Santo”, si festeggia a Pentecoste e risale al 1400. Ci sono sette uomini con famiglia che si alternano portando avanti l’antica tradizione. Dei sette ne viene sostituito uno all’anno che tiene in casa una “cunetta” (una piccola culla) davanti alla quale prega tutti i giorni per tre anni, e tre crocefissi con una colomba. Una volta al mese i sette uomini si riuniscono, insieme al parroco, per una serata di solidarietà. Il giorno della pentecoste, sempre tutti e sette insieme, si mangia la Panarda (un particolare tipo di pane) a casa dell’ultimo dei sette. Con gli anni, il parroco è riuscito a ricucire una vecchia ferita che in passato divideva in paese la politica dalla chiesa. Basti pensare che molti anni fa il sindaco di turno non partecipava alla processione di venerdì Santo. Oggi le cose sono cambiate. Sono numerose le attività pastorali e i gruppi parrocchiali e di volontariato: Gruppo catechisti (30 persone), Misericordia, Avis, Coro liturgico e folkloristico, Compagnia teatrale dialettale, Suore trinitarie, da 170 anni in paese, Scout (circa 100 iscritti). Il sogno del parroco è che la comunità di Luco sia sempre più vicino ai più deboli.
PARROCCHIA DI MARIA SANTISSIMA A SAN BENEDETTO DEI MARSI (26 APRILE 2008)
La comunità che ospitò per prima la diocesi dei Marsi è in crescita dal punto di vista spirituale e culturale. Nessuno meglio del parroco, don Francesco Iulianella, conosce la realtà del paese e i problemi della popolazione. Il sacerdote, infatti, è nato proprio a San Benedetto e dal 1968, quando prese i voti, lavora nella parrocchia di Maria Santissima, a contatto con i suoi compaesani.
Un paese di neanche 4.000 abitanti, accogliente, aperto a recepire gli stimoli pastorali, in grado di portare avanti un’evoluzione culturale e morale in un tempo relativamente breve. Questo è San Benedetto secondo il parroco. «Dopo la mia ordinazione sacerdotale», racconta don Francesco, «fui viceparroco fino al 1993, quando divenni il pastore della comunità. In quegli anni il paese era prevalentemente agricolo e c’era ancora la figura del contadino. Oggi c’è il piccolo e medio imprenditore che si occupa della lavorazione dei campi nel Fucino, soprattutto con l’impiego di immigrati. Nei loro confronti la popolazione ha usato sempre un atteggiamento di accoglienza, anche se negli ultimi tempi non sono mancati episodi di intolleranza reciproca». Molti ragazzi stranieri, infatti, hanno iniziato a frequentare l’oratorio, riuscendo a integrarsi perfettamente. Tutto è andato bene fino a quando, però, non hanno cominciato a fare gruppo tra loro e a utilizzare solo per loro le strutture sportive dell’oratorio. «A quel punto», racconta il sacerdote, «sono iniziati i contrasti che non hanno portato a nulla di buono». Nonostante tutto, però, il rapporto dei residenti con gli immigrati resta sostanzialmente buono. I primi anni in parrocchia don Francesco, musicista, compositore e docente di musica, li ha passati a contatto con i giovani, dedicandosi a tempo pieno alla loro formazione religiosa e umana. Quando è divenuto parroco, nonostante gli impegni legati alla ristrutturazione degli edifici religiosi della parrocchia e all’attività pastorale, non ha mai smesso di stare vicino ai ragazzi. Per questo c’è un oratori con oltre 150 ragazzi che svolge numerose attività. Ma in questi anni il parroco si è impegnato anche a far nascere una vera comunità di fede. «All’inizio», ricorda, «è stato difficile, a messa c’erano solo poche vecchiette e tre uomini. Poi c’è stata una grande ripresa e oggi la nostra è una comunità viva e in evoluzione». L’unico rammarico del parroco è la latitanza all’attività della parrocchia dell’ambiente dei professionisti. Alcuni anni fa il parroco ebbe dei problemi di salute e fu costretto ad allontanarsi dalla sua chiesa. In quel periodo la comunità si rimboccò le maniche e dimostro di essere matura e pronta a una slancio che fino ad allora era mancato. In quei mesi difficili i parrocchiani misero in pratica gli insegnamenti del loro pastore, si rimboccarono le maniche e diedero vita a numerose realtà religiose. Oggi in parrocchia lavorano ben tre confraternite: quella di san Vincenzo Ferreri, quella dedicata a Sant’Antonio e quella dell’Addolorata, tutte rinate dal 2004. Poi c’è un attivissimo coro liturgico polifonico, diretto da don Francesco ed eredità del Coro Marruvium. Oltre all’oratorio, che svolge anche attività di volontariato a sostegno dei più deboli, ci sono in paese otto cellule di evangelizzazione e un gruppo di attività pastorale per i malati. Il futuro del glorioso popolo di Marruvium sta, secondo il parroco, nell’impegno alla formazione e alla riconferma della coscienza cristiana.
Le Chiese del paese sono di recente costruzione. Quella parrocchiale, dedicata a Maria Santissima Assunta, si trova nella piazza centrale di San Benedetto e nel 2010 festeggerà il centenario dall’edificazione. Ci sono poi il santuario di Santa Maria Goretti, in fase di restauro e la chiesa di via San Cipriano. Ma la chiesa più importante dal punto di vista culturale e spirituale, anche se ora ne rimane solo l’antico portale, è quella di Santa Sabina, la prima cattedrale della diocesi dei Marsi di cui si ha attestazione in un diploma di Ottone I del 964 col nome di “Beate Savine Cristi martiris, que sita esse videtur infra ipsam Civitatem Marsicanam”. Fu eretta nel corso del V-VI secolo fra i ruderi della Civitas Marsicana con il vicino palazzo episcopale in località Milvia. I conflitti fra i Conti dei Marsi per la proprietà della diocesi resero più volte vacante la sede episcopale. Fu con la bolla papale di Stefano IX del 1057 che Santa Sabina divenne sede definitiva della diocesi. Tra il 1100 e il 1130, con la presenza del vescovo Berardo, figlio del conte Berardo IV, ci fu un periodo di grande attività, ma nel 1222 la chiesa e il palazzo episcopale furono saccheggiati da Tommaso durante i conflitti di Federico II. La struttura fu ristrutturata nel 1287 per la visita del papa Onorio IV. Nel XIV secolo ci fu un lento abbandono della cattedrale a favore di Pescina, sede di una baronia della Contea di Celano. Nella prima metà del Seicento ci fu il definitivo tracollo della cattedrale e la traslazione nel 1631 delle spoglie di san Berardo nella nuova cattedrale pescinese di Santa Maria delle Grazie.
San Benedetto era nell’antichità l’importante città di Marruvium, la capitale dei Marsi, e il suo nome deriva dall’eroe Marrus. Dell’antico centro oggi rimangono solo resti delle mura e dell’anfiteatro, iscrizioni, statue antiche e reperti vari. Ma il paese del Fucino è anche il simbolo della cristianità marsicana. A San Benedetto, che conta 4.000 abitanti, ci sono infatti i resti della cattedrale di Santa Sabina risalente al periodo paleocristiano, sede della prima diocesi dei Marsi. Nel sottosuolo della città è altresì visitabile una strada romana in buono stato di conservazione. Oggi la comunità è viva e in continua evoluzione. I gruppi di preghiera e religiosi, ma anche le associazioni sono numerosi e il futuro del popolo di Marruvium sta nell’impegno alla formazione e alla riconferma della coscienza cristiana.
A giugno del 2008 è arrivata in paese la reliquia di San Berardo, divenuta non solo simbolo di una profonda devozione marsicana, ma anche l’emblema di due comunità (Pescina e San Benedetto) che, dopo un passato di sterili dispute, si riavvicinano nel nome e nelle sante opere di un vescovo marsicano. «Questo dito», ha commentato il parroco al momento dell’accoglienza della reliquia in chiesa, «ci basta!». La reliquia è arrivata a San Bendetto domenica, in una atmosfera gioiosa e solenne, tipica degli eventi memorabili. Si esaudisce così un desiderio della comunità parrocchiale, che si è fatto sempre più vivo soprattutto negli ultimi anni, dopo l’istituzione della festa rievocativa della traslazione del vescovo Berardo dall’ex cattedrale di Santa Sabina alla chiesa di Pescina. L’evento, giunto alla quinta edizione, è stato voluto dal parroco di San Benedetto, don Francesco Iulianella e da quello di Pescina, don Giovanni Venti, ed ha aperto le strade all’arrivo della reliquia. E così il 22 maggio, il vescovo dei Marsi Pietro Santoro ha autorizzato la costituzione di una commissione che si è occupata di svolgere le procedure per sigillare l’evento di trasferimento della reliquia. Alla presenza dei parroci di Pescina, don Giovanni e don Michele, del parroco di San Benedetto, del presidente dell’ufficio liturgico diocesano don Paolo Ferrini, dei priori della confraternita di San Berardo e di San Vincenzo e di altri testimoni, la reliquia è stata incastonata con l’apposizione dei sigilli. La traslazione del corpo di San Berardo, da quella che fu la cattedrale dei Marsi a Pescina, avvenne il 23 Maggio del 1361. Da allora, almeno l’indice della mano destra del Santo è tornato in paese.