Avezzano. Lasciarsi guidare dall’amore per i vostri fratelli, anche se va contro il proprio interesse. Quando lo scoraggiamento rischia di avere la meglio, a sostenere i limiti della nostra fragilità c’è l’amore di Cristo. Parole forti, che invitano alla fiducia totale per Cristo in Croce e Cristo che risorge, quelle pronunciate dal vescovo dei Marsi nel corso della celebrazione crismale di mercoledì pomeriggio a cui hanno partecipato i sacerdotti in rappresentanza di tutte le chiese della diocesi.
“1975. Papa Paolo VI”, ha affermato il vescovo, “riceveva con cuore aperto una delegazione di gesuiti e rivolse una domanda, o meglio tre domande: «Chi siete? Da dove venite? Dove andate?» Sono le stesse domande che riverso su di voi, carissimi presbiteri, in questa sera della tenerezza e della misericordia del Signore, nella nostra Cattedrale, Chiesa madre della comunità diocesana. Domande che colloco anche dentro il mio cuore, perché unito a voi nella comune consacrazione sacerdotale”. Il vescovo ha attualizzato queste domande e lee ha trasformate in incoraggiamento da padre, da pastore della diocesi. “Le rivolgo anche nelle risposte, nella dimensione personale”, ha aggiunto, ” nel pozzo profondo dell’anima di ognuno: « chi sono? Da dove vengo? Dove vado?».
Chi sono? Sono l’uomo che rende sacramentalmente operante nella comunità cristiana il Cristo pastore della Chiesa, dispensatore della Parola, ministro dell’Eucaristia e della conciliazione, gioiosa manifestazione della fraternità di Gesù, uomo tra gli uomini, fratello tra fratelli.
Da dove vengo? Vengo dal mistero e dal dono di una elezione, di una scelta, dall’essere stato pescato da Cristo nel lago di Galilea della mia storia. Un dono che non posso trattenere o cristallizzare, ma continuamente rinnovato dissentandomi all’unica sorgente.
Dove vado? Vado dove ogni apostolo deve andare, narratore credibile del Vangelo, luogo, io stesso, dell’incontro tra Dio e l’uomo, testimone della Speranza crocifissa. Uomo che non crea barriere con superficiali, inutili, accessori formalistici, capace di mostrare la bellezza di saper rischiare la vita per amore, per amore del nostro popolo. E una porzione di questo popolo, carissimi presbiteri, ascolterà la rinnovazione solenne delle promesse da voi espresse nel giorno santo della vostra ordinazione, affinché queste promesse continuino ad essere il Crisma che non ha perso il suo profumo.
E c’è una promessa che desidero sottolineare, evidenziare: «volete essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio, lasciandovi guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i vostri fratelli?» Non lasciarsi guidare da interessi umani. E san Paolo ci dà l’orizzonte di riferimento per non rimanere schiacciati dall’interesse umano, sempre in agguato. Nella seconda lettera ai Corinzi, san Paolo scrive: «l’amore di Cristo ci spinge al pensiero che Uno è morto per tutti, Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivono più per se stessi, ma per Colui che è morto e resuscitato per loro». Ecco l’amore è Cristo, e l’amore di Cristo ci tiene uniti quand’è a rischio la nostra interiore armonia e lo scoraggiamento rischia di avere il sopravvento. Ci sostiene di fronte alla fragilità e ai limiti della nostra condizione umana; ci guida nelle scelte prioritarie a non vivere più per noi stessi, ma solo per il Vangelo. Ci abbraccia, ci abbraccia quando facciamo l’esperienza drammatica del peccato. Ci travolge, ci travolge con la sua forza, quando facciamo i conti con le esigenze della Chiesa e della società. Ci sequestra e ci tormenta con la richiesta di una spoliazione, che faccia emergere dalla nostra vita, un nuovo modo di esistere, non più legato alla pesantezza della materia, ma all’unica ricchezza della sua Parola.
In questa dimensione si colloca la profezia, il sogno di Papa Francesco: la profezia dei suoi gesti e delle sue parole: «come vorrei una Chiesa povera e per i poveri». E non chiediamoci cosa vuol dire una Chiesa povera, non facciamo tanti sofismi. Una Chiesa povera per i poveri significa una Chiesa povera per i poveri. Niente altro. A me e a voi questo compito: vescovo e sacerdoti poveri nella concretezza, senza beni rifugio. Vescovo e sacerdoti, con il cuore diventato un grembo rifugio per quanti bussano alla porta delle nostre mani e ci chiedono che siano sempre mani aperte e accoglienti. Dalla Chiesa riceviamo quanto basta per vivere e ci deve bastare. Il resto se c’è e quanto c’è è per i poveri, per quanti sono nella provvisorietà, per quanti sono e restano il vero grande tesoro della Chiesa stessa”.
L’appello ai laici è stato quello di “rendete sempre grazie al Signore per il dono meraviglioso dei vostri sacerdoti, giovani o anziani che siano. Non conta l’anagrafe, conta il mistero che ogni sacerdote ha nel cuore, un mistero vertiginoso. I sacerdoti sono con voi e per voi i servitori della speranza, i custodi e i trasmettitori dell’incontro con Dio e della dignità dell’uomo. Pregate per loro, pregate continuamente perché la vostra preghiera riversa nel loro ministero il fuoco dello Spirito e la consolazione dello Spirito. Soprattutto, non fate mai mancare la disponibilità attiva per costruire comunità parrocchiali che si muovano sull’essenziale”.