Avezzano. Torna martedì al teatro dei Marsi la XXI edizione di “Passi sulla scena”, rassegna organizzata dal Teatro dei colori, Centro di ricerca , produzione e pedagogia nello spettacolo, con il patrocinio del Ministero Beni e Attività Culturali, Regione Abruzzo, Provincia di L’Aquila, Comune di Avezzano (Assessorato alla Cultura – Ufficio Teatro). In scena, alle 11, La colonna infame da Alessandro Manzoni della compagnia Ultima luna -Teatro Invito di Lecco. Regia e drammaturgia di Luca Radaelli con Luigi Maniglia, L. Radaelli, Valerio Maffioletti, luci di Michele Napione, suoni di Luigi Maniglia, consulenza musicale di Angelo Rusconi. Partitura di Antonio Pizzicato. Dopo il felice lavoro “Il racconto dei promessi sposi” (Premio E.t.i. 1998) Teatro Invito torna sull’opera di Alessandro Manzoni, con uno spettacolo su quello che viene considerato l’appendice e in un certo senso il completamento dei Promessi sposi, la Storia della colonna infame. Un libriccino che non fece grande fortuna al tempo in cui Manzoni lo scrisse, ma che invece oggi è ritenuta forse la sua opera più importante. Manzoni parla della tortura, dell’inquisizione, della peste per parlare dei temi a lui più cari: la giustizia, quella divina e quella umana, e il libero arbitrio, che consente di scegliere tra il bene e il male. In questo testo sorprendentemente moderno, Manzoni parla della tortura, dell’inquisizione, della peste per parlare dei temi a lui più cari: la giustizia, quella divina e quella umana, e il libero arbitrio. Si tratta di un commento agli atti di un processo intentato ai presunti untori della peste nel 1630. Ciò che si racconta è realmente accaduto e noi ci immedesimiamo nei malcapitati che vengono presi nell’ingranaggio, capri espiatori da dare in pasto a un popolo terrorizzato e furente. L’incubo ha inizio. La vicenda viene raccontata in modo serrato, come in un “legal thriller”. Le atmosfere vengono suggerite da inserti musicati e cantati. Una vera propria partitura: un concerto teatrale per voci e chitarra elettrica, tastiere e percussioni. Suoni, rumori e canti che richiamano urla, gemiti, preghiere. In scena un leggio, una sedia e tre piantane di metallo che alludono a patiboli, macchine da tortura, croci. Sullo sfondo l’attualità: pesti che ciclicamente ci minacciano; la “pazza paura di un attentato che…“ha la trista virtù di far prendere per colpevoli degli sventurati”…torture, ingiustizie, processi sommari in corso anche oggi in varie parti del mondo. Perché “le istituzioni più assurde hanno sostenitori finché non sono morte del tutto, e spesso anche dopo, per la ragione stessa che sono potute vivere”. Davvero un’idea vincente quella di Luca Radaelli: conferire nuova vita ad una delle opere più importanti, e sottovalutate, della letteratura italiana portandola sul palcoscenico in maniera del tutto originale e genuina. Fondata su pochi e simbolici elementi scenici, la rappresentazione si sviluppa come una sorta di legal-thriller cadenzato da una partitura musicale rock che ne determina il ritmo e ne esalta le atmosfere noir. Ogni elemento del racconto si sovrappone al precedente quasi invocato dai suoni duri e inquietanti di Luigi Maniglia, che in qualche modo commentano e sottolineano la cronaca manzoniana. Radaelli e Maffioletti, i due eccellenti interpreti della trasposizione, riportano il teatro alla sua funzione originaria: raccontano con grande immediatezza, riproducono atmosfere e dialetti della Milano del ‘600, trasmettendo autenticità e senso di oppressione per una vicenda dai risvolti più che mai attuali. Sappiamo tutti quali e quanti siano i timori diffusi nella società contemporanea per un possibile attentato. Manzoni lo aveva già raccontato quasi due secoli fa, concentrando la sua analisi sullo spietato accanimento delle istituzioni nei confronti dei presunti colpevoli; anche quando non esistono prove la “giustizia” deve seguire inesorabile il suo corso, offrire al popolo affamato una preda da sbranare, e allora ecco che in quest’ottica possono rientrare tutte le forme di giustizia sommaria, da Guantanamo all’ossessivo voyeurismo dei media nel racconto dei fatti di cronaca nera. Una riuscita e ben congeniata operazione culturale, un grande classico della letteratura che riacquista il dovuto risalto grazie all’ottimo lavoro drammaturgico di Luca Radaelli