Il primo a pensare di poter prosciugare il lago Fucino fu Cesare. L’imperatore con questa mossa progettava di rendere la capitale indipendente dal grano che veniva importato dal nord-africa. Nel corso dei secoli l’impresa venne creduta irrealizzabile da Augusto, tentata e quasi riuscita da Claudio, ripresa inutilmente da Adriano e da Traiano e nel corso di diciassette secoli rese vani gli sforzi di Federico II di Svevia, di Alfonso I d’Aragona, del contestabile Colonna e di Ferdinando IV. Solo Torlonia, a distanza di oltre duemila anni, portò definitivamente a termine quell’opera cui, secondo lo scrittore Alexandre Dumas, “Roma avrebbe elevato un tempio a quello fra i suoi imperatori che vi fosse riuscito”.
Per realizzarla il Principe fece una scelta degna della sua lungimiranza: assunse come direttore dei lavori l’ingegnere svizzero Frantz Mayor de Montricher, un uomo ancor oggi riconosciuto come il più grande ingegnere idraulico del diciannovesimo secolo, che a soli ventisei anni progettò e realizzò l’acquedotto in pietra più grande del mondo, grazie al quale la città di Marsiglia risolse per sempre il problema della siccità. Affidando a lui la direzione dei lavori, Torlonia sembrava determinato a voler mettere per sempre la parola fine ad un’opera che per diciotto secoli era rimasta in piedi come l’ultima sfida delle capacità umane alla natura. Inoltre pretese che allo svizzero venissero affiancati altri due illustri ingegneri: Alexandre Brissé e Enrico Samuele Bermont che, nonostante la loro giovane età, diedero prova di capacità degne del loro maestro. Il primo escogitò degli ingegnosi quanto semplici sistemi meccanici che permisero di ripulire l’originale galleria romana, mentre il secondo fece nascere nei campi Palentini, una vera e propria città-fabbrica, che permise di accorciare notevolmente i tempi per la costruzione dell’emissario: vennero costruiti enormi magazzini, scuderie capaci di accogliere oltre duecento cavalli, distese di tettoie per i depositi di legname, officine per falegnami, una fabbrica di corde e addirittura una cappella dove la domenica veniva regolarmente ufficiata la Santa Messa per gli operai.
Dei tre ingegneri, l’unico a sopravvivere fu Brissé; gli altri due morirono a causa di una terribile febbre, contratta durante i lavori per lo scavo dell’emissario. Toccò quindi a quest’ultimo curare il libro che Torlonia commissionò dove, in due volumi più un atlante illustrato, veniva spiegata nel dettaglio la storia del prosciugamento del Fucino, con tutte le difficoltà e i misteri, dai tentativi romani fino al suo. Fu così che nel 1883, quando il lago aveva ormai scaricato nel fiume Liri un totale di circa un miliardo di metri cubi di acqua, Torlonia fece stampare da una storica tipografia romana quest’opera, realizzata in pochissimi esemplari e tradotta in altre due lingue: italiano, francese e inglese. Ogni pagina del libro, che rilegato pesa circa 12,5 kg, è stata stampata su carta 50 per 60 cm, e su ogni singolo foglio compare, in filigrana lavorata a mano, lo stemma gentilizio del Torlonia sormontato dalla corona e circondato da un lungo nastro.
Di questo rarissimo volume ne restano pochissime copie in giro per il mondo. Una però è stata digitalizzata ed esposta all’Aia dei Musei, il museo di Avezzano realizzato nei locali dell’ex mattatoio. Peccato, però, che quest’ultimo sia attualmente ancora chiuso al pubblico.
Francesco Proia
Autore del romanzo “Polvere di Lago”